«Ma come si può essere felici di quest’opera faraonica?». Il riferimento è al decreto Sblocca Italia, che dovrebbe sbloccare anche la rete ferroviaria tra Catania e Palermo, passando per Messina. Ci sono più di cinque miliardi di euro sul piatto, servono tutti per l’alta velocità light, come l’ha definita il presidente della Rete ferroviaria italiana Dario Lo Bosco. L’avvio del cantiere è fissato improrogabilmente entro il 31 ottobre 2015, consegna dei lavori nel 2023. Del resto, ci sono 816 milioni di euro pronti per partire, che dovrebbero servire, stando a quanto sostiene il governo Renzi, per «incrementare la frequenza dei treni, aumentare la velocità e dimezzare i tempi di percorrenza». «Io, sul serio, non riesco a gioire». Uno dei principali detrattori del raddoppio ferroviario sull’asse Catania-Palermo è Giosuè Malaponti, coordinatore del Comitato pendolari siciliano. Lui non ce l’ha col raddoppio ferroviario in sé, ma con quel raddoppio lì, con tutti quei soldi da spendere su una sola direttrice: «Per mettere quei soldi sulla Catania-Palermo hanno definanziato opere che aspettavano soldi da almeno un decennio».
«Con gli stessi soldi si poteva sbloccare tutta la Sicilia invece di fare una cattedrale nel deserto», prosegue Malaponti. Del resto, le cose da fare non mancano. «Io avevo proposto di completare la Castelbuono-Patti, di terminare la Fiumefreddo-Giampilieri, di finanziare l’interramento dei binari della stazione di Catania, di velocizzare la Catania-Siracusa e la Siracusa-Ragusa-Gela. Avevo fatto un calcolo: per fare tutto questo e qualcos’altro servivano gli stessi miliardi che adesso sono da investire sulla Catania-Messina-Palermo. Anzi, secondo i miei conti si risparmiavano 50 milioni di euro e si sbloccava tutta la Sicilia». «È come se io fossi un padre di famiglia con tanti soldi da parte. Che dovrei fare? Comprare una bella villa per me, oppure comprare per un appartamento per me e uno per ciascuno dei miei figli? Un buon padre cosa dovrebbe fare?». La bella villa, s’intende, sarebbe il raddoppio ferroviario sulla litoranea che dal capoluogo catanese porterebbe a quello palermitano, passando dal Messinese. Gli appartamenti sarebbero tutte le altre micro-tratte, alcune solo da finire.
Perché secondo Giosuè Malaponti pensare a collegare Catania è giusto, ma è sbagliato – invece – dimenticare gli altri capoluoghi di provincia: «Un catanese, anche se impiegando molte ore, bene o male a Palermo ci arriva. Ma se uno è di Siracusa o Ragusa come fa? A Palermo non ci va?». La sua idea, più volte esposta nelle commissioni ufficiali che si sono riunite e che hanno parlato del tema dei trasporti, è di concludere, intanto, quello che si è iniziato: «Nel 2005 il Cipe aveva finanziato con un miliardo di euro 42 chilometri da Fiumefreddo e Giampilieri, i lavori non sono mai partiti. Adesso servono più soldi, più di due miliardi di euro, e si è in fase di riprogettazione. Nel 2013 è stata chiusa la Alcamo-Trapani e stiamo aspettando che la riaprano. A settembre 2014, a seguito di un incidente, è stata chiusa la Gela-Canicattì. Avevano detto che l’avrebbero riaperta a fine dicembre 2014 e adesso quella data è già slittata a giugno 2015». Nel frattempo, però, in pompa magna proprio a Gela è stato annunciato il potenziamento della Canicattì-Gela-Comiso. Trentacinque milioni di euro per risparmiare venti minuti di tempo. «Il paradosso è che quella tratta non collega l’aeroporto di Comiso. Che senso ha?».
Qualcuno dice che a lavorare realmente sui binari in Sicilia poi a pagarne le spese siano le aziende locali dei trasporti su gomma. «Questo è perché la Regione Sicilia non ha mai pensato a fare un serio piano intermodale – commenta Giosuè Malaponti – Mica i pullman devono sparire così, basterebbe che fossero impegnati anche a portare la gente alle stazioni». «Io non dico che la Catania-Messina-Palermo non debba essere fatta, è che questi progetti devono essere realizzati con un criterio, che non può essere quello dei grandi annunci politici, anche perché poi chi è causa del suo male dovrà piangere se stesso». Un esempio può essere la decisione di Trenitalia di interrompere, già a partire dai prossimi mesi, il traghettamento in treno. I viaggiatori dovranno scendere a Messina o a Villa San Giovanni, salire a piedi sul traghetto e poi risalire sul treno dopo avere attraversato lo Stretto: «Gli amministratori locali non hanno alzato la voce, e questo è il risultato». A ben pensarci, la classe dirigente isolana avrebbe anche dovuto parlare quando «si sono scelti gli orari della coppia di treni che fa il diretto da Palermo a Catania. Il primo treno parte da Palermo alle sei del mattino e il secondo parte da Catania alle tre passate del pomeriggio. A chi possono servire orari simili?», commenta il coordinatore dei pendolari siciliani.
Ad aggiungere disagi sui disagi ci pensano poi le stazioni. Le biglietterie sono chiuse e quelle automatiche non funzionano: «Pare sia così dall’inizio del 2015. Da quando hanno aggiornato il software non funzionano più». E anche per i bisogni fisiologici è una triste storia: «I bagni sono chiusi dal 2005 in tutte le stazioni che fanno meno di 200 passeggeri al giorno in salita e in discesa». Lui, per esempio, ricorda un viaggio con alcune autorità, fatto nel 2009. L’obiettivo era mostrare i disagi del trasporto su treno. Arrivati a Caltanissetta Xirbi, in attesa del treno per Roccapalumba, qualcuno doveva usare la toilette: «”E ora?”, mi domandò un noto esponente politico davanti alla porta del bagno chiusa. Io feci spallucce. E lui andò dietro un cespuglio poco distante, si liberò la vescica all’aria aperta».
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