Dal cuore del quartiere San Cristoforo di Catania al red carpet di Los Angeles. Sono storie di fili in comune che si intrecciano insieme quelle che hanno portato un abito e un gilet realizzati dalle sartorie sociali catanesi Midulla e Moda Operandi a sfilare sul tappeto rosso delle celebrità di Hollywood. A indossarli sono stati […]
Da San Cristoforo al red carpet di Los Angeles: abiti con scarti di arance e cuciti dalle sartorie sociali di Catania
Dal cuore del quartiere San Cristoforo di Catania al red carpet di Los Angeles. Sono storie di fili in comune che si intrecciano insieme quelle che hanno portato un abito e un gilet realizzati dalle sartorie sociali catanesi Midulla e Moda Operandi a sfilare sul tappeto rosso delle celebrità di Hollywood. A indossarli sono stati Seydou Sarr, il protagonista del film di Matteo Garrone candidato agli Oscar Io Capitano, e l’attivista e influencer – anche lei senegalese – Aida Diouf Mbengue.
«Se ci fermiamo un attimo a pensare – confida a MeridioNews la fondatrice del progetto Midulla San Cristoforo Amelia Alessia Cristaldi – ancora non ci sembra vero, eppure è accaduto». E a creare l’intreccio sono state le materie prime di Orange fiber, l’azienda – anch’essa catanese – che realizza tessuti pregiati dagli scarti delle arance. Sottoprodotti degli agrumi che hanno ispirato la stilista di moda sostenibile italo-americana Sandy Poole che ha disegnato sia il vestito che il gilet. E che da qui è partita per un progetto che prenderà la forma di un documentario dal titolo Commonthreadstories, che si traduce proprio con Storie di un filo comune.
«Sono abiti che diventano manifesti», aggiunge Cristaldi che nella sartoria sociale di via Zuccarelli, oramai da anni, offre formazione al lavoro alle donne del quartiere San Cristoforo, a Catania. Tra queste c’è anche Adele: abitante dello storico e complesso rione, madre di quattro figli, che si è formata alla sartoria sociale Midulla. Oggi lavora per Orange fiber e sono sue le mani che hanno preparato le campionature dei tessuti sostenibili. Insieme a quelle delle donne migranti sopravvissute alla tratta che vengono accolte e formate alla sartoria sociale Moda Operandi. Due realtà che hanno attirato Sandy Poole, la regista e stilista nata a Milano e cresciuta a Los Angeles che, però, ha anche sangue siculo. Originario dell’Isola era infatti il nonno materno, partito da autodidatta da Balestrate (in provincia di Palermo). «Volevo che i drappeggi e le pieghe dell’abito seguissero la forma del corpo di Aida come un’onda che la investe – ha detto la stilista – Dovevano sembrare organici e spontanei, come se si fossero formati da soli senza alcun intervento».
Un obiettivo centrato con l’abito e il gilet, realizzati con un tessuto tessuto da Taborelli (mulino sostenibile con sede a Como che tesse per marchi di lusso), cento per cento sostenibile perché ricavato dagli scarti delle arance. Un materiale innovativo dell’artigianato del settore tessile che sarà al centro anche della prima stagione della docuserie di Poole, intitolata Common Thread, il cui trailer sarà proiettato in anteprima ad aprile. Una serie di viaggi al femminile, di cui sarà protagonista Aida Diouf Mbengue (che conta 2 milioni di follower sui social), che esplora l’umanità, le tradizioni e la sostenibilità attraverso la lente del tessile e dell’artigianato. La prima stagione sarà tutta dedicata alla Sicilia, alla sua storica fama per la produzione della seta e alla politica dei rifiuti legata alle ecomafie. Un percorso che si snoda tra artigiani locali di talento che forniscono soluzioni sostenibili. «I tessuti sono un potente legame con il passato – conclude la regista – intrecciato alla cultura, alle tradizioni e alla narrazione».