Salvo Pogliese, candidato alle europee «I siciliani devono imparare a fare sistema»

Contro il fiscal compact, le banche, le lobby del Nord Europa e le attuali politiche sull’immigrazione. In difesa degli interessi nazionali e regionali, dei prodotti locali. «A patto che i siciliani abbandonino l’atteggiamento individualista e vittimista che li allontana dal resto d’Europa e che facciano sistema». Salvo Pogliese, candidato catanese nella lista del Popolo delle Libertà, tenta il salto da Palermo a Bruxelles. Dall’Assemblea regionale siciliana al Parlamento europeo. Alle spalle si lascia un’intensa attività parlamentare (è il terzo per produttività tra i deputati dell’Ars).

Onorevole Pogliese, i siciliani sentono molto distanti le istituzioni europee. Come fare per cambiare questo atteggiamento?
E’ opportuno evidenziare un dato: il 75 per cento delle normative nazionali e regionali sono frutto del recepimento delle direttive europee. Ma a Bruxelles si è fatto fatica a tutelare gli interessi nazionali e regionali, perché spesso le logiche numeriche prevalgono sulla bontà delle battaglie combattute. E’ difficile, ad esempio, confrontarsi con blocchi lobbistici del Nord europa che si oppongono agli interessi del Mediterraneo, come nel caso della pesca o dell’immigrazione.

Tema d’attualità quest’ultimo. Secondo lei cosa deve cambiare l’Europa nella gestione degli immigrati?
Fino ad ora l’Europa ha tenuto un atteggiamento pilatesco, lasciando la Sicilia a fronteggiare enormi flussi migratori con un notevole esborso di soldi pubblici. L’Ue ha divulgato i dati dei primi quattro mesi del 2014, c’è stato un aumento dell’800 per cento di arrivi sulle coste siciliane. Bisogna agire a monte. Gli accordi bilaterali del recente passato rappresentano la scelta migliore.

Non crede che quegli accordi, siglati con dittatori come Gheddafi, avessero molti lati oscuri e servissero all’Italia per lasciare il lavoro sporco ai Paesi della sponda Sud del Mediterraneo?
Sui lati oscuri bisogna vigilare, ma continuo a pensare che bisogna agire a monte. Ci sono ragioni di sicurezza nazionale da tenere in considerazione. La Marina militare italiana è diventata un traghetto per queste persone.

Considera quindi sbagliato intercettare i barconi in mare aperto con l’operazione Mare Nostrum?
Sì, così com’è stata pensata e messa in pratica non va bene. E’ un problema europeo. Ma questa politica, il fatto di andare a prendere queste persone in mare, ha invogliato i flussi migratori.

Se dovesse scegliere solo una battaglia da portare in Europa, cosa le viene in mente?
Non ci piace l’europa tecnocratica, dell’alta finanza, del fiscal compact, che applica in maniera rigida criteri economici. Serve un approccio diverso che punti allo sviluppo.

Qual è secondo lei l’aspetto in cui la Sicilia è più indietro rispetto all’Europa?
Abbiamo retaggi culturali da superare: siamo indietro dal punto di vista dell’individualismo e del vittimismo. Tendiamo a scaricare le nostre responsabilità su altri e non capiamo che dobbiamo fare sistema, per esempio nell’agricoltura. In Spagna ci sono due centrali di commercializzazione per i prodotti agricoli, in Sicilia decine di migliaia di realtà. Così si si perde la sfida. Ben venga la competizione globale, ma le regole del gioco devono essere uguali. L’accordo con il Marocco per la liberalizzazione dei prodotti agricoli è vergognoso. Azzerare i dazi in entrata non è possibile, perché le condizioni di lavoro in Marocco non sono paragonabili a quelle dei Paesi europei.

C’è invece un aspetto, secondo lei, in cui la Sicilia è in linea con il resto d’Europa?
Primeggiamo nella creatività e nella passione. Due elementi da capitalizzare.

Fondi europei. Bruxelles è l’unica sede decisionale dove è possibile spendere. Come fare in sede locale per usare davvero le risorse assegnate? Dai parlamentari europei siciliani non sarebbe auspicabile un’azione di controllo o supervisione?
I deputati a Bruxelles possono svolgere un’azione di controllo sulle direttive da dare alla programmazione 2014-2020. Ma dobbiamo fare autocritica a livello regionale. A causa dell’instabilità politica e burocratica abbiamo perso centinaia di milioni di euro. Abbiamo una rete autostradale incompleta, se si dovessero bloccare le risorse disponibili sarebbe un disastro. Ma se non giustifichiamo 2,5 miliardi di euro entro dicembre, li perderemo. Inoltre i fondi che siamo riusciti a sfruttare sono stati troppo parcellizzati: 40 mila interventi, una contribuzione a pioggia che non ha effetti sulla crescita del Prodotto interno lordo.

Trasporti e infrastrutture. L’aeroporto di Fontanarossa è stato escluso dalla rete Core network, i nodi infrastrutturali considerati strategici dalla Ue. Come pensa di contribuire per rientrare in questo elenco?
La bocciatura di Fontanarossa è paradossale. Ma c’è una grande anomalia da eliminare: la mancanza del collegamento ferroviario. E’ necessario che le Ferrovie realizzino in maniera integrale il progetto esistente.

Venendo a Catania, la rottura tra lei e il consigliere comunale Manlio Messina, ha fatto discutere. Come proseguirà la sua azione sulla città?
Dagli altri sei consiglieri comunali che mi stanno sostenendo in questa campagna elettorale.

All’Assemblea regionale siciliana, di cui fa parte, la maggioranza dei deputati è oggetto di indagini. Sulla stampa si è parlato anche del suo coinvolgimento nell’inchiesta sulle spese dei fondi destinati ai gruppi parlamentari. Il timore dei cittadini è che con i soldi pubblici ognuno fa quello che crede.
L’indagine riguarda 83 consiglieri su 90. E ne abbiamo avuto comunicazione soltanto dai giornali. C’era un problema normativo fino al gennaio 2013. Senza dubbio ci sono delle storture, ma stiamo parlando di spese coerenti con le finalità di un gruppo parlamentare. Non c’è stato il giusto approfondimento.


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