Salvo Andò sul caso Cuffaro-Lombardo «Partiti di oggi più deboli e penetrabili»

«I partiti personali sono il male. Non hanno uno zoccolo duro, una base vera, se non di consenso personale e per questo sono più penetrabili». Come l’Mpa, il movimento a immagine e somiglianza del suo fondatore, Raffaele Lombardo. Cresciuto al ritmo del suo leader, ha anticipato di due anni e preparato la sua elezione alla Regione sbarcando al parlamento nazionale e a quello regionale nel 2006. E poi disciolto, quando a terminare con le dimissioni è stato anche il mandato dell’ex governatore, macchiato dalle indagini giudiziarie risolte ieri nella condanna a sei anni e otto mesi per concorso esterno in associazione mafiosa. Come il suo predecessore, Totò Cuffaro, condannato a sette anni per favoreggiamento alla mafia. Un bis inquietante secondo i cittadini, le cui cause sono tutte da ricercare nella destrutturazione del sistema partitico secondo Salvo Andò, discusso esponente siciliano di punta del partito socialista e ministro della Difesa tra il 1992 e il 1993.

Un personaggio politico di rilievo ma in un periodo diverso da quello dei governi di Lombardo e Cuffaro. Un momento in cui pure le accuse di contiguità politica con la mafia non mancavano, come quella per voto di scambio nelle elezioni per la Camera del 1983 e del 1987 a carico dello stesso Andò, assolto in primo grado nel 2000 con formula piena. Condannato invece in primo grado per una vicenda di tangenti nella costruzione del centro fieristico Le Ciminiere di viale Africa a Catania, il processo si concluse nel 2004 con la prescrizione. In mezzo, una carriera politica che lo scorso anno lo ha portato a candidarsi come sindaco della sua città, Giarre, ma che non ha mai visto incarichi regionali. «Raffaele Lombardo lo conosco però da ragazzo, quando era rappresentante degli studenti all’opera universitaria di Catania che presiedevo (dal 1974 al 1982, ndr)», racconta.

«Io non credo che in sostanza la sua carriera politica sia stata basata su rapporti mafiosi. Chi fa politica da quando ha 16 anni esprime una grande passione, una gran voglia di impegnarsi», è l’unico riferimento personale che Andò lascia trapelare. Perché il ragionamento, suo e della maggior parte dei cittadini che in queste ore hanno commentato la notizia della condanna di Lombardo, non si riferisce tanto o solo al caso dell’ex governatore. O di Cuffaro prima di lui. Ma al ripetersi della storia politica regionale che non ha niente a che vede con una maledizione, secondo Andò, «perché il problema è anche l’ambiente politico». «All’interno delle istituzioni regionali c’è di tutto – continua – Sono oggettivamente penetrabili perché fatte non soltanto di uomini politici ma anche di burocrazia e da un mondo degli affari che conta più di quanto dovrebbe e indebolisce l’autonomia delle sedi istituzionali».

Una visione che oggi appare forse nostalgica e fondata su principi guardati con sospetto dagli elettori non sono isolani. Come appunto il sistema partitico. «I grandi partiti di massa ed educatori non ci sono più – sospira Andò – A caldo la mia sensazione è che tutto sommato, quando c’erano i veri partiti, quelli forti, essi applicavano un efficace filtro. La loro destrutturazione invece ha reso debole il sistema politico e quindi più penetrabile». Un controllo che anche in passato non evitava del tutto i fenomeni di clientelismo, ma che li rendeva potenzialmente controllabili ed evitabili. A patto di averne voglia.

Un sistema di «anticorpi che consentivano una prevenzione delle infiltrazioni mafiose», oggi inesistente. Perché i partiti, secondo Andò, sono diventati «contenitori dentro i quali ci può stare tutto e il contrario di tutto». A partire proprio dalla «transumanza politica», consumata anche dal precedente governo Lombardo a quello attuale di Rosario Crocetta, che tanto preoccupa una parte degli elettori. E che dovrebbe fare ancora più paura, secondo Andò, nel caso di partiti personali, senza responsabilità collettive. «Perché in quel caso – conclude – chi può permettersi di controllare il leader?».


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Socialista, ex ministro della Difesa negli anni '90, una carriera controversa, anche a livello giudiziario, ma in un'epoca politica diversa da quella che ha visto gli ultimi due presidenti della Regione Sicilia condannati per i loro rapporti con la mafia. «Un periodo in cui i veri partiti, quelli forti, potevano applicare un efficace filtro alle infiltrazioni», è la sua lettura. Una situazione aggravata dall'avanzata dei partiti personali, come l'Mpa. «Così chi può permettersi di controllare il leader?»

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