Il direttore di Telejato, indagato per estorsione dalla Procura di Palermo, si è sempre interrogato su come la giudice - al centro di una sua inchiesta giornalistica che ha anticipato quella dei magistrati di Caltanissetta - fosse al corrente delle indagini su di lui. E la risposta coinvolge ancora una volta diverse persone
Saguto e la fuga di notizie su Maniaci «Lo arrestano a giorni? Io lo spererei»
«Chi ha detto alla giudice Silvana Saguto che c’era un’inchiesta su di me?». Pino Maniaci, direttore di Telejato, se lo chiedeva già a fine maggio, durante la conferenza tenuta dietro al bancone del suo tg a Partinico in occasione del rientro per la sospensione del divieto di dimora. Ipotizzando una ritorsione della giustizia palermitana per la sua inchiesta che ha anticipato quella dei magistrati di Caltanissetta su un presunto giro di corruzione e favori all’interno della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, di cui era allora presidente la giudice Silvana Saguto. Al momento il giornalista è indagato dalla Procura di Palermo per il reato di estorsione ai danni di alcuni esponenti politici locali. Gli indizi a suo carico sono emersi nel corso dell’indagine Kelevra, partita alla fine del 2013 sulle famiglie mafiose del territorio partinicese.
Al livello del rompimento di palle sembrerebbe questione di poco, proprio
Dalle intercettazioni casuali alle intercettazioni mirate il passo è stato breve. Gli inquirenti hanno da subito sottolineato l’estraneità del cronista a contesti di tipo mafioso, eppure la sua posizione viene inserita tra quelle dei nove soggetti arrestati con l’accusa di appartenere a Cosa nostra. E la notizia delle indagini a suo carico circola proprio fra gli ambienti del tribunale di Palermo legati alla lotta al crimine organizzato. «A livello diciamo generale del problema ecco, del rompimento di palle, a meno che non gli hanno detto fesserie, sembrerebbe questione di poco proprio». È il 29 maggio 2015 e a parlare è Walter Virga al telefono col padre, al quale riporta alcune informazioni avute la mattina stessa dalla giudice Silvana Saguto, ex presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo. Il riferimento è, secondo gli inquirenti, proprio a Maniaci, che il giovane era solito chiamare anche il baffo.
Che la stessa giudice, poi, sia a conoscenza di investigazioni sul giornalista di Partinico emerge dalle sue conversazioni col tenente colonnello Rosolino Nasca che, intercettato il 24 giugno 2015, spiega a Saguto: «La cosa nasce dai carabinieri di Partinico. Allora praticamente questo stronzo prima che noi facessimo il sequestro Parra, una sera lì a Partinico ha un incidente». L’episodio riportato dall’ex ufficiale della Dia risale al 13 dicembre 2014, giorno in cui la figlia di Maniaci ha un incidente stradale col fidanzato. La macchina su cui viaggiano i due ragazzi «è intestata a Luigi Impastato – figlio di Andrea, imprenditore condannato per mafia, ndr – Arriva Maniaci e comincia a inveire contro i carabinieri. Quelli fanno un’informativa e la mandano in Procura, da questa nasce l’indagine, vengono messi sotto controllo i telefoni e lì emergono i rapporti, cioè praticamente lui è strumentale. Mi hanno anche detto che il fatto del cane…la stessa cosa, è strumentale – alludendo al fatto che non si tratti di un’intimidazione mafiosa – Peraltro loro hanno delle intercettazioni fatte in ambito Parra che non sono state mai trascritte. Quindi ce l’ha il Gip», «Bisognerebbe capire quale Gip, perché non lo smuovi», sollecita per tutta risposta Saguto.
Invece di fare antimafia è diventato filomafia
Verosimilmente, ricostruiscono i magistrati, Nasca potrebbe essere venuto a conoscenza di questi dettagli confrontandosi con alcuni colleghi impegnati nelle indagini a carico di Stefano Parra, imprenditore edile di Partinico ritenuto affiliato a Cosa nostra al quale nel luglio 2014 vengono sequestrati beni per un totale di 360milioni di euro, e che pare avesse dei rapporti con Maniaci. A occuparsi di tale sequestro nel ruolo di giudice delegato è proprio la presidente Saguto. Le rivelazioni di Nasca, tuttavia, ritenute dagli inquirenti «incongrue e improprie», avrebbero contribuito a divulgare dettagli su fatti coperti dal segreto istruttorio. Fatti che la giudice non avrebbe esitato a raccontare anche ai propri familiari. «Siamo sicuri che lo arrestano a breve, a giorni? Io lo spererei», dice intercettato uno dei figli di Saguto il 5 giugno 2016. Commenti e malessere generati soprattutto dagli attacchi che il direttore di Telejato lanciava attraverso la sua emittente sempre più di frequente, parlando di «verminaio, cerchio magico, mafia nell’antimafia» per denunciare l’esistenza di un sistema clientelare all’interno della sezione Misure di prevenzione. È per questo che la giudice, stando alla intercettazioni, sembra aver pensato anche a una sorta di contromossa: mettere in cattiva luce il «provocatore», come lo chiama con l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara.
Silvana Saguto dice infatti a Giuseppe Pignatone, attuale procuratore di Roma, che sarebbe il momento di «fare uscire le minacce varie che andiamo ricevendo ogni minuto, e poi mi hanno ribadito il concetto che quello è sotto inchiesta, Maniaci, perché l’ispiratore è lui». L’idea, avallata dalla stessa Francesca Cannizzo, all’epoca prefetta di Palermo, sarebbe quella di organizzare un’intervista per proteggere la reputazione della sezione e per smentire le accuse di Maniaci riguardo a un presunto procedimento disciplinare nei suoi confronti. Procedimento che, ipotizza l’accusa, Tommaso Virga avrebbe archiviato approfittando del suo ruolo all’interno del Consiglio superiore della magistratura e innescando un meccanismo di scambio di favori con la giudice. Dalle indagini svolte, però, è emerso un unico procedimento nell’ambito di un’ispezione ordinaria e precedente al quadriennio 2010-14 di Virga senior al Csm. Il 29 maggio 2015, infine, è la stessa Saguto a riassumere quelle che saranno le accuse al centro dell’indagine su Maniaci, descrivendolo come «un soggetto vicino ad alcuni mafiosi di Partinico, e che da questi riceve elargizioni, per cui invece di fare antimafia è diventato filomafia».