Sachsenhausen, dove vennero deportati oltre venti siciliani «Luogo di formazione per le SS. Si moriva sparati alla nuca»

Si trova a circa 35 chilometri da Berlino, raggiungibile facilmente con la metropolitana. Il campo di concentramento di Sachsenhausen è a oggi tra quelli più visitati. Luogo dove i gerarchi nazisti decidevano le misure da prendere per coloro che venivano considerati oppositori, Sachesenhausen fu anche il campo dove si sono formati Rudolf Höß, poi comandante del campo di concentramento di Auschwitz, e la sede dell’ispettorato generale dei campi di concentramento che faceva capo al comandante delle SS Heinrich Himmler, che qui aveva il suo ufficio. Questo campo di terrore ospitò cinquecento deportati italiani. Di questi, almeno 21 erano siciliani. Nell’ordine, in base ai documenti ritrovati, è emerso che sei erano di Palermo, quattro catanesi e altri quattro di Trapani. A questi si aggiungevano tre messinesi, tre di Agrigento e uno di Caltanissetta. A ricostruire la lunga lista di nomi e a tentare l’impresa di ricomporre le storie che c’erano dietro quei documenti setacciati dai nazisti sono stati Claudio Cassetti e Iacopo Buonaguidi, due guide all’interno del campo, e il giornalista Francesco Bertolucci

La lista fino a oggi non era molto conosciuta e conteneva informazioni parziali. Inizialmente risultarono circa 700 italiani, ma dopo si appurò che erano 500. Al momento dell’identificazione, per esempio, molte persone che ai tempi erano residenti in Jugoslavia venivano considerati italiani. A commentare la ricerca a MeridioNews è Claudio Cassetti. Triestino trasferito a Berlino, Cassetti ha trasferito, insieme a Bonaguidi e Bertolucci, la sua conoscenza del campo. «Tutti i siciliani sono arrivati qui dopo l’8 settembre 1943 (data dell’armistizio di Cassibile, ndr) – spiega Cassetti – Non è facile fare un identikit preciso dei deportati soltanto con i documenti a nostra disposizione. Sicuramente quattro siciliani sono morti qui. Quasi tutti sono militari catturati nel corso del disarmo in massa dell’esercito italiano. Venivano portati in Germania per fornire forza lavoro». 

È il caso di Antonino Di Piazza, originario di Bronte, che era arrivato da Brandeburgo a Sachsenhausen dopo l’8 settembre del 1943. «Probabilmente catturato come militare, poi impiegato come lavoratore civile, è finito assassinato – afferma Cassetti – Era finito in carcere perché accusato di saccheggio. Probabilmente, come nei casi più conosciuti, per motivi futili. Forse per aver rubato una bottiglia di birra o. Questa la motivazione che compare nei documenti, ma le cause possono essere diverse». Altra storia legata a un siciliano è quella di Nazareno Surrenti, originario di Ravanusa, giunto a Sachsenhausen nel marzo del 1944. «Viene registrato nel campo solo come poliziotto. È improbabile che sia stato catturato l’8 settembre ma può darsi benissimo che dietro abbia una storia politica – racconta Cassetti – Può darsi pure che sia arrivato in Germania anche lui per lavoro. Quello che sorprende è che anche dopo l’8 settembre gli italiani continuavano ad arrivare in Germania per lavoro e molti di loro non hanno avuto un bel trattamento nemmeno da civili: in certi casi venivano uccisi arbitrariamente. Altri hanno continuato a combattere a fianco dei nazisti, ma più che altro per poter tornare in Italia». 

Un altro siciliano su cui sono emerse informazioni è Oscar Caminneci. «Suo padre era siciliano e la madre tedesca – spiega Cassetti – Era già da tempo in Germania e ha fatto carriera militare di cavalleria. Ha ricoperto il ruolo di collegamento con le truppe italiane al fianco di Rommel nella campagna d’Egitto. Parliamo di una figura di notevole levatura. Nel ’44 fu accusato di aver partecipato all’attentato nei confronti di Hitler ed è stato portato prima a Sachsenhausen E poi a Mauthausen, dov’è morto». I soldati arrestati dai tedeschi, da quanto fa sapere Cassetti, furono circa 800mila, «Di questi, circa 190mila hanno accettato di farsi addestrare per tornare a combattere in Italia – conclude – Questo campo per le SS dei lager era un sorta di luogo di formazione. I prigionieri venivano assassinati con il gas. Ma lo strumento principale di omicidio di massa era un impianto di sparo alla nuca».

Adesso la ricerca condotta da Cassetti, Bonaguidi e Bertolucci sarà pubblicata nel libro Gli italiani a Sachsenhausen, disponibile su www.deportatiberlino.it. L’ambasciata italiana di Berlino insieme all’Associazione nazionale ex deportati (Aned) ha deciso di commissionare all’artista tedesca Anna Kaufmann una targa commemorativa, posta dentro il campo di concentramento, dedicata agli italiani che sono stati deportati dentro al campo. La targa sarà inaugurata il prossimo 1 maggio, giornata che celebra la liberazione dei prigionieri dal campo. 

Il percorso di avvicinamento alla giornata della Liberazione dal nazifascismo quest’anno è stato caratterizzato dalle polemiche condizionate pure dal conflitto russo-ucraino. Tra chi vede nella resistenza ucraina delle analogie con quella dei partigiani e chi invece la pensa diversamente. Tra questi l’Associazione nazionale partigiani italiani, che si è detta contraria all’invio di armi a sostegno del governo di Zelensky. «Noi siamo per la pace in tutto il mondo – dice il presidente di Anpi Sicilia Ottavio Terranova – Il nostro compito è quello di fare memoria. La guerra che c’è attualmente è cosa diversa rispetto alla resistenza partigiana. In Ucraina abbiamo uno Stato che si difende e fa resistenza all’invasore. Ma c’è una guerra in cui vengono fornite sempre più armi e, dal canto nostro, ribadiamo sempre il nostro no a qualsiasi guerra: i partigiani invece rubavano le armi ai fascisti. In questo senso, la Nato non mi pare sia un’organizzazione pacifista. Siamo solidali con la resistenza del popolo ucraino, ma siamo anche per le iniziative concrete e non gridate in assenza di una trattiva seria».


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