Rubrica/New York New York-L’americano che cercò l’anima della Sicilia

Questo articolo viene pubblicato contemporaneamente su Oggi 7-America oggi

John Keahey, giornalista-scrittore di Salt Lake City, autore di “Seeking Sicily. A Cultural Journey Through Myth and Reality in the Heart of the Mediterranean”

All’inizio della lettura del viaggio alla ricerca della Sicilia di John Keahey, non avevo aspettative su chissà quale “scoperta” potesse arrivare. In questo caso è tipico del siciliano, come colui che sta scrivendo queste righe, sentire salire la stessa arroganza mostrata da quel venditore di limonata nella piazza di Castelvetrano che, all’inizio del film “Salvatore Giuliano” di Francesco Rosi, al giornalista che fa troppe domande sul “bandito” ucciso, risponde: “Scusasse, ma da unni veni lei? Da Roma? E che ni po’ capiri da Sicilia unu ca veni da Roma!”. Ecco, il sentimento con cui iniziavo la lettura era…. “e che ne può capire della Sicilia e dei siciliani uno che arriva da Salt Lake City!”.
Il libro di John Keahey, “Seeking Sicily. A Cultural Journey Through Myth and Reality in the Heart of Mediterranean” (Thomas Dunne Books, St Martin’s Press, New York, 2011) riesce invece a tenere fermo un lettore siciliano come se fosse davanti allo specchio. E tra punte di orgoglio ma anche non poche vergogne, incredibilmente si finisce per scoprire che quel giornalista-scrittore venuto dal Far West, riesce nel suo viaggio fino ad addentrarsi nell’animo della Sicilia e dei siciliani. Alla fine di quest’opera di scavo culturale, si capisce che Keahey non pretende di aver capito o scoperto tutto, anzi. La sua soddisfazione sembra essere l’aver trovato il percorso per continuare ad esplorare oltre tremila anni di numerose (troppe?) civiltà incastrate una su l’altra e tutte rimaste vive come forse da nessun altra parte del mondo. Toccherà poi al lettore americano e internazionale continuare questo percorso di conoscenza in un prossimo viaggio in Sicilia.
Già, perché Keahey, nonostante questo suo non nasca come libro di promozione turistica, riesce alla fine ad attrarre interesse verso la Sicilia attraverso l’itinerario più logico e che non dovrebbe deludere il viaggiatore più esigente: la cultura. Perché per chi si lascia coinvolgere dai meccanismi interpretativi presenti nel libro di Keahey, il “mistero Sicilia” non sarà più tale, e sarà quindi più godibile scoprirne monumenti e stranezze artistiche, così come antichi sapori e aromi, fino a spingersi quasi a toccare, senza sentirsi mai spinti a condannare o assolvere, l’essenza della “sicilitudine”.
Keahey dimostra di essere un giornalista che crede nel potere liberatorio del romanzo, che le interpretazioni più resistenti al logorio del tempo sono quelle sprigionate dalla letteratura, da quella “fiction” che, soprattutto nel caso della Sicilia, riesce più della storia ad avvicinarsi alla verità.
Così in “Seeking Sicily” si usa la letteratura come grimaldello per scardinare i lucchetti arrugginiti e mai più aperti del passato siciliano. Keahey, attraverso l’opera di grandi scrittori del passato, siciliani e stranieri, si fa condurre e ci conduce attraverso i luoghi e le tradizioni dando poi la sua personale impressione e interpretazione, ma tenendo sempre conto di cosa, prima di lui, certi “grandi” avevano scritto nel loro diario di viaggio, come alla fine del settecento Johann Wolfgang von Goethe o dell’Ottocento Guy de Maupassant.
Keahey nei suoi numerosi viaggi in Sicilia, dal primo del 1986 fino all’ultimo del 2010, si corazza presto delle letture di Verga, Pirandello, Lampedusa, persino di Camilleri per avere quelle preziose tracce su cosa e come cercare. Ma è soprattutto l’opera di Leonardo Sciascia che ha più influenza di qualunque altra nel percorso intrapreso dal giornalista-scrittore orginario dell’Idaho (Keahey ha vissuto la sua carriera di giornalista a Salt Lake Ciy, Utah, ma è nel suo stato di nascita, lo Idaho, in cui durante l’infanzia, nella biblioteca di Nampa, avviene la sua “prima scoperta” della Sicilia).
Così ecco che un intero dei capitoli del libro è dedicato a Racalmuto. Quel paese dove nasce e si trova la tomba del – come non essere d’accordo con Keahey – “il piú grande” degli scrittori siciliani, certamente non una meta tradizionale delle guide turistiche sulla Sicilia, invece Keahey sente che deve dedicare tempo e spazio al viaggio che tenta di catturare lo spirito dei siciliani. E nel capitolo seguente dedicato alle “Zolfare”, oltre che il Verga di “Rosso Malpelo” o nel diario di fine Ottocento di Guy de Maupassant, è soprattutto con Sciascia che tocchiamo la sofferenza “del sale nelle ferite”. Keahey, qui porta anche le testimonianze di un precedente viaggiatore Americano, Booker T. Washington, che visita l’Isola nel 1910. Lo scopo del suo viaggio in Europa è quello di comparare la situazione degli afro-americani in America con quella dei lavoratori e contadini in Europa. Washington, afroamericano dell’Alabama, nel vedere la condizione dei minatori in Sicilia, dei “carusi” che lavorano nelle “zolfare”, ma anche dei contadini, arriva alla conclusione che “the Negro is not the man farthest down”. E quindi ecco che Keahey sempre nel Paese di Sciascia, andrà a visitare la sede della Lega Zolfatai Salinai Pensionati Racalmuto, dove troverà gli ultimi vecchi rimasti a testimoniare un’epoca che, all’apparenza, con la chiusura di quelle miniere mezzo secolo fa, sembra scomparsa, ma le cui ferite sono rimaste profonde nell’animo dei siciliani e che, infatti, influenzano tutta l’opera di uno scrittore come Sciascia (il nonno aveva fin da bambino lavorato giú in quell’inferno).
E poi ancora tanto scavare nel libro di Keahey sugli effetti della Santa inquisizione spagnola finita da oltre quattro secoli, ma che non poteva lasciare un ‘ndelebile traccia in certi atteggiamenti di diffidenza nei confronti del potere. E via via nel viaggio si giunge alle molteplici vicende che hanno scolpito il carattere dei siciliani (ovviamente non poteva mancare la mafia, ma forse questo è il capitolo meno riuscito nel libro, diciamo il più superficiale almeno per chi legge “da siciliano”).
Ma l’autore mostra talento nel saper alternare il racconto delle angosce portate dalla storia siciliana di un passato ancora troppo presente, con la magnifica contemplazione di certi paesaggi o col cedimento ai sapori di una cucina irresistibile, anche per chi si considerava immune a certe “tentazioni”. “Io non avevo mai mangiato pesce in vita mia, pensavo di non poterlo neanche assaggiare. In Sicilia l’ho gustato senza freni”, ci confessa Keahey in un breve incontro che abbiamo avuto qui a New York, dove si trovava recentemente per presentare il suo libro in un paio di eventi in cui hanno partecipato moltissimi americani di origini siciliane.
“Ho scoperto che durante le letture del libro – ci dice l’autore, – l’amore degli americani di origine siciliana per la loro isola è rimasto forte e passionale. Molti di loro sono già tornati a visitare quei villaggi ancestrali, altri promettono che lo faranno. E durante la lettura di certi capitoli, alcuni siciliani d’America, di terza e persino quarta generazione, hanno espresso questo loro amore con le lacrime. Ne sono rimasto veramente commosso”.
Una di queste letture è avvenuta lo scorso mese al ristorante siciliano “Scopello”, a Fort Greene, Brooklyn. Qui riportiamo uno dei passaggi che forse colpisce di più dopo le notizie giunte nei giorni scorsi sulla “rivolta dei Forconi”. Fa parte del capitolo “Sicilitudine,” quello che si spinge più lontano nel tentativo di “Seeking Sicily”.
L’autore incontra a Roma Francesca Corrao, figlia del senatore Lodovico, che mostra le sue idée battagliere sulla “sicilitudine” e poi ad un certo punto dice:

“There was not even this feeling we have now of the world ‘identity’” Corrao says. The peculiarity of being an island is that you cannot run away; you are stuck to the site… the invasions make you rich, in a sense, because you can take the best from the outsiders, but it makes you enclose yourself because you have to struggle to preserve your identity. To do that, you have to be very much attached to your core, and your real core is your heart.
“If you are able to touch this humanity, you become a great person. Otherwise you become aggressive and violent.”….
“Because you are surrounded by water”, Corrao continues, “it deeply and psychologically means that you must talk to your humanity, so no matter who comes and goes, you have nowhere to run away. The moment you are there, you have to look within yourself, and that’s why you’re closed and you’re open. You are closed the moment the invader is coming to deprive, but you are open because when he is here, you have to deal with him, and you do it in order to survive.”

A questo punto Keahey tira le sue conclusioni ancora una volta trovando aiuto in Sciascia:

The entrapment of Sicilians and the whipsawing of cultures gradually brought generations to an identity born out of the insecurity that Sciascia described in his writings: arrogance, distrust, pessimism. In many ways, this identity becomes a virtue, and, say Corrao, “this virtue becomes pride, and it becomes attached to our way of being.”
“The people” she says, “are like the island itself, like our volcano. It is so beautiful, the soil is so rich and it produce a wonderful bounty, but it can destroy you in an instant. You always have to find a middle way in this two opposite faces of Sicily. It is so dry and yet it is so full of flowers; so kind and gentle and yet so violent. The greatness of Sciascia is that he says in words what is impossible for me now to explain how these opposites can coexist.
“The violent and the sweet; the sweet and sour. You find it all throughout his books.”

Abbiamo chiesto a John Keahey se alla fine, con il libro “Seeking Sicily”, quella Sicilia che cercava l’avesse finalmente trovata. “Certo che no, chissà quanto tempo ancora ci vorrebbe, ma ho cominciato a capirla. Il magnifico del viaggio in Sicilia é proprio questo, continuare a cercarla mentre si impara a comprenderla”.

 

 


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