Roma, Santa e Dannata, il filmone di Dago, Giusti e Ciprì che racconta tutte le città con storie eterne / L’asso di mazze

E mi piacerebbe dirlo che Roma (impero romano) a Catania (impero greco) gliela suca e che qui la pigliavamo nel culo quando a Roma sapevano ancora soltanto cagare. Ma il film Roma, Santa e Dannata (è un film, il miglior film italiano da La Dolce Vita in poi, che sarà proiettato alla Festa del Cinema di Roma il 27 ottobre) di Roberto D’Agostino e Marco Giusti, con la regia e la fotografia di Daniele Ciprì, mi fa tacere. Per dirla tutta mi fa tacere anche il pezzo di Luigi Mascheroni sul film in cui c’è una citazione da Apocalypse Now che mi ha steso. Perché il filo conduttore del film è un battello sul Tevere, non una maniera di attraversare Roma, non una minicrociera, non una semplice atmosfera, ma la perfetta metafora dello stare a Roma standone fuori: cosa che solo i romani sanno fare.

Il Tevere è insieme il cinismo di Antistene e di Diogene, la distanza del Derrida in La scrittura e la differenza ma ancora di più in Sproni, lo stare nella cosa al contempo astraendosene come in Kant e nel new journalism (l’alto e la quotidianità), il fluire del Tempo che però e comunque riesce a cristallizzarsi in storie da tramandare, scolpite nei ricordi e allegorie di altro (è una visione estremamente occidentale del Tevere, e vorrei vedere, altro che Buddha seduto, Dago in piedi, come il Cristo nel frontone di Santa Maria Maggiore che è l’Altissimo accanto alla via Merulana del Pasticciaccio di Gadda).

Sembrano casuali, gli incontri, ma come sono casuali gli accostamenti di Blob, casuali a chi non ne vede il filo narrativo, la struttura: da Massimo Ceccherini ingoiato dall’urbe a Silvio Berlusconi che invece riesce a dominarla (due stranieri). Carlo Verdone al Festival dei Poeti, importazione romanesca di Woodstock e dell’underground in cui trionfa la pasta e fagioli. Le notti al Muccassassina e al Degrado (a Catania abbiamo avuto il Pegaso, la più grande discoteca frocio-oriented del Sud Italia). Papa Giovanni che si va a prendere una birra e resta in strafa che non lo vogliono fare entrare in Vaticano. E c’è Trilussa (noi abbiamo avuto Micio Tempio).

Che arrivi presto nei cinema, questo film straordinario (prendete a ceffoni, metaforicamente, chi lo chiama documentario), non è il racconto di una città, è il racconto di tutte le città: quelle che hanno creato storie da raccontare. Che hanno fermato il fiume e costruito una forma.


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