Rivalutiamo il ruolo dei docenti

Le tele di Erwin Pfrang hanno fatto da sfondo all’incontro col prof. Enrico Iachello, Preside della Facoltà di Lettere di Catania, tenutosi Mercoledì 9 maggio al Centro Voltaire (via Scuto 19, a Catania). Scopo dell’iniziativa era fornire elementi per capire come sia cambiato il rapporto tra Università e territorio.

Rispetto al recente passato, il prof. Iachello ha fornito una diagnosi non positiva: “Si è assistito, negli ultimi dieci anni ad un progressivo inaridirsi del rapporto tra l’Ateneo catanese e il suo territorio: un vero e proprio processo di decadenza”. Ma quali i motivi di tale regresso? Il prof. Iachello ha analizzato il fenomeno, tracciandone le tappe fondamentali. Ciò che ha caratterizzato gli ultimi tempi (secondo la sua analisi) è stata una crescente perdita di peso e di prestigio del ruolo dell’insegnante e della scuola nella società.

L’Università, purtroppo, ha contribuito a questo processo, dato che talvolta si è unita al coro di quelli che hanno criticato la scuola ancor prima di tentare di risanarla, isolandosi, dunque, in un moralismo improduttivo e incensandosi come unici sacerdoti rimasti del sapere e dei valori umanistici. Gli effetti di questa situazione non hanno tardato ad arrivare; e quando, con l’introduzione della Riforma universitaria, l’Università si è dovuta scontrare-confrontare con un numero incredibilmente alto di nuovi iscritti, si è avuta l’impressione d’avere a che fare con troppi studenti, ma soprattutto, con troppi studenti “scadenti”.

Ancora una volta, il coro di voci accusatorie si è levato, questa volta contro una massa confusa di nuove leve universitarie. Cosa fare? Come agire dunque? In un primo momento, l’Università ha cercato un appoggio e un aiuto nella scuola, che però, memore delle accuse per tanto tempo ad essa rivolta, si è chiusa a volte in un rifiuto. Viceversa, Università e scuola devono ammettere d’avere obiettivi comuni, al fine di poter dialogare con gli studenti di oggi e di domani. Il primo risultato: si è capito che la cultura umanistica non è una cultura di conservazione, una cultura che si isola per mantenere la propria sacralità, bensì una cultura che ha la necessità di confrontarsi con la società contemporanea, col proprio territorio. Nascono, in questa direzione, iniziative come “Fuori dall’aula e dentro la città”, ovvero una serie di proposte culturali non più rivolte solo all’Accademia ma all’intero territorio.

L’Università comincia ad avere un ruolo realmente incisivo su quest’ultimo. Ne consegue un fermento d’iniziative su più fronti: la Festa di primavera tenutasi l’anno scorso al Monastero dei Benedettini con la tanto criticata giornata dell’“arrusti e mancia”, ad esempio, è nata come iniziativa fortemente legata alla cultura e alla tradizione catanese. Ecco dunque l’Università che entra nel territorio e che apre le porte al territorio. Il terreno su cui lavorare è lo scambio, la ricerca d’una sintonia, la crescita. Un’università che sposa la sua città: si potrebbe dire una “Univercittà”. “Bisogna inventare e trovare, dunque, nuove soluzioni (ha concluso il prof. Iachello) e ritornare alle questioni forti, riguardanti in primo luogo i modi del trasmettere il sapere umanistico alle nuove generazioni”.

Ha fatto seguito alla relazione un breve ma vivace dibattito, animato dal presidente del Centro Voltaire, dr. Piero Castronovo e dal prof. Giuseppe Frazzetto (quest’ultimo ha rilevato che i drastici mutamenti del rapporto società-Università devono essere affrontati senza tradire la propria identità, ma sapendola modulare secondo le nuove realtà con cui ci si confronta).

Stefania Anzelmo

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