I dati, che riguardano anche i ristoranti, arrivano da un report in cui vengono messi a confronto le registrazioni delle imprese italiane nel 2011 e nel 2015. La provincia che ha avuto l'aumento maggiore è quella di Catania, ma a crescere sono tutte. Compresa Enna, dove è stata aperta una sola nuova attività
Ristorazione, Sicilia la regione dove si aprono più bar UnionCamere: «La maggior parte chiude in pochi anni»
Granite, arancini e arancine, cassate. E poi ancora caponata, pesce e pasta, magari con le sarde. Che la Sicilia abbia nella cucina uno dei propri punti forti è risaputo, tanto ai residenti quanto ai turisti. Ma a esserne consapevoli sono anche i piccoli imprenditori che decidono di avviare un’attività di ristorazione. Il dato emerge dal report di Unioncamere-Infocamere, che ha analizzato il registro delle imprese italiane, confrontando le cifre del 2015 con quelle di cinque anni prima.
Nel complesso, su quasi tutto il territorio nazionale gli esercizi che somministrano cibi e bevande sono in crescita, con un aumento su base nazionale di oltre 31mila imprese. A livello regionale è proprio la Sicilia quella che cresce di più con un +14,6 per cento, che in termini assoluti significa 1761 nuove attività, per un totale al 31 dicembre 2015 di 22.007 tra ristoranti e bar.
I locali dotati di cucina sono 13027, dei quali 2708 a Palermo e 2580 a Catania. In tutte le province, i dati sono in crescita, compreso a Enna dove tra 2011 e 2015 l’aumento è stato di soltanto un’unità. Per quanto riguarda invece i bar e le caffetterie, ad averne di più è sempre la provincia di Palermo con 1847, seguita da Catania (1677), che però registra la crescita maggiore nel settore con 273 nuove attività.
Tuttavia, pensare che l’apertura di nuovi locali coincida in maniera automatica con uno sviluppo dell’economia è avventato. A sottolinearlo sono le stesse associazioni. «Solo in pochi riescono a tenere in piedi la propria attività a cinque anni dalla nascita. Delle imprese nate nel 2011, tre su quattro hanno abbassato la saracinesca entro cinque anni e oltre il 45 per cento non è riuscita a resistere al terzo anno di vita», si legge in una nota in cui viene commentato lo scenario a livello nazionale.