Nuovi cartelli ben visibili, scritti sia in italiano che in inglese, ricorderanno ai visitatori della riserva naturale orientata di Cavagrande del Cassibile che è vietata la balneazione nei laghetti e che ogni infrazione sarà punita con una sanzione amministrativa.
Dopo un incendio di vaste proporzioni, scoppiato il 25 giugno del 2014, che distrusse migliaia di ettari di flora, fu emanata una ordinanza che vietava l’accesso al canyon attraverso l’ingresso principale, il sentiero Scala Cruci. «Il divieto di balneazione – spiega a Meridionews Nunzio Caruso, dirigente dell’azienda foreste demaniali di Siracusa – in realtà c’è sempre stato, anche in condizioni di normalità, per regolamento, perché si tratta di acque interne a una riserva naturale. È vero anche che la gente ne ha sempre fatto un uso improprio a causa di chi, pur essendone preposto, non ha esercitato i controlli. Adesso, però, – ha precisato Caruso – dopo il sopralluogo di venerdì scorso per il lavoro di messa in sicurezza di chilometri di costone roccioso che insistono sull’area dei laghetti, fatto insieme al dipartimento tecnico della regione Sicilia e ai vertici del Genio Civile di Siracusa, questi controlli saranno intensificati».
È vero però che un’indagine approfondita delle pareti del canyon non è ancora stata fatta «perché ci vogliono degli ingenti finanziamenti ma, nel frattempo, ho pensato – aggiunge Caruso – di fare una indagine con l’ausilio di un drone che però non è ancora partita a causa di un vento implacabile». Luca Cannata, primo cittadino di Avola, uno dei tre comuni interessati dai quasi tremila ettari di riserva, si chiede se «nelle Dolomiti sia possibile mettere in sicurezza la montagna. Qui il problema – sottolinea Cannata – è che da due anni non è stato avviato alcun progetto di intervento per la messa in sicurezza dell’area in questione e non si ha nemmeno un’ipotetica data della riapertura completa di Cavagrande. E questa situazione di inerzia e di immobilismo è dovuta solo all’inadeguatezza di chi dovrebbe gestire la riserva».
Fra il sindaco Cannata e il dirigente provinciale della forestale Caruso i toni sono, da tempo, accesi. «Se vengono giù dei massi, succede una strage e se muore qualcuno all’interno della riserva, la responsabilità è mia e non del sindaco – replica Caruso – e bisogna anche tenere conto del fatto che l’area dei laghetti è quella più ad alto rischio sismico di tutta la Sicilia». In passato, per scendere all’interno del canyon, era necessario firmare un’assunzione di responsabilità per accettare tutti i rischi «derivanti dalla natura dei luoghi tale da non escludere naturali e imprevedibili smottamenti, frane e cadute massi».
Intanto, in questi anni post-incendio, l’azienda foreste demaniali ha usato alcuni finanziamenti per curare i lavori di ricostruzione di un immobile, le cosiddette Case di Natala, che sono raggiungibili percorrendo i sentieri tuttora aperti e che si trovano a 95 metri dai laghetti, ovvero a pochi passi dalla zona dichiarata off-limits. «Dichiarata da chi? – si chiede il primo cittadino di Avola – Da chi è stato accertato questo problema di sicurezza? Dove sono le documentazioni che certificano lo stato dei luoghi? E se questo rischio fosse reale, perché c’è la possibilità di accesso da quei due sentieri?».
Attualmente agli oltre 1.500 visitatori quotidiani che, specie nella stagione estiva, vogliono godere della riserva naturale è possibile accedere soltanto attraverso due sentieri, quello di Mastra Ronna e quello di Carrubella. Molti sono i dubbi fra i cittadini, le associazioni ambientaliste e la giunta che hanno a cuore le sorti di questo inestimabile patrimonio naturale. «Alla luce di come stanno andando le cose, dall’indomani dell’incendio – dichiara il sindaco – l’impressione è che non si aspettasse altro per chiudere il canyon. A questo punto pensiamo che ci siano degli interessi dietro e cercheremo di approfondire la questione, chiedendo anche l’intervento di autorità competenti, per comprendere le reali motivazioni di questa ingiustificabile decisione».
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