Rischio sismico? Noi speriamo in Padre Pio

Prevenzione antisimica a Catania? Gli studi sono stati fatti ma poi se ne sono fregati”. Paolino Maniscalco, ex Assessore all’Ambiente e alla Protezione Civile al Comune di Catania dal ’93 al ’99, racconta gli ultimi quindici anni perduti nella lotta per la prevenzione dei danni da terremoti. In una città in cui centinaia di edifici pubblici e interi quartieri rischiano di sbriciolarsi alla prima scossa. Lo dimostrano i numeri di uno studio svolto dalla protezione civile nazionale tra il ’97 e il ’99. Lavoro su cui si sta basando anche la Procura dell’Aquila nella sua inchiesta sulle responsabilità per i morti nei crolli del terremoto del 6 aprile scorso.
 
Cosa succederebbe a Catania se si verificasse un terremoto di grado 6.8 Richter, poco più forte del sisma in Abruzzo e inferiore a quello che sconvolse la Sicilia orientale nel 1693? Bastano tre parole su google: Catania – rischio – sismico. E vengono fuori numeri agghiaccianti: più di 32 mila abitazioni danneggiate (il 24% del totale), di cui quasi mille crollate; 590 vittime, più di 1700 feriti, quasi duemila persone coinvolte in crolli e circa 27mila sfollati. Sono i numeri dello scenario di rischio teorizzato dalla Protezione Civile comunale nel 2007. Vengono indicate anche le zone della città che verrebbero maggiormente colpite: la parte di centro storico racchiusa da via Plebiscito ad Ovest, da via Umberto a Nord, e da via Dusmet a Sud; una vasta area del quartiere Picanello; le zone di edilizia popolare nel quartiere S. Leone; buona parte dell’edificato intorno alle vie Acquicella, Acquicella Porto e Zia Lisa.
 
Maniscalco, sono attendibili questi numeri? E come si realizza uno scenario di rischio per una città?
Ho smesso di occuparmi della Protezione Civile comunale nel ’99, quindi non ho seguito la realizzazione di questo progetto. Ma quando si realizza un piano di protezione civile è normale scegliere uno scenario di rischio. Perché si dice: prepariamoci per agire, ma rispetto a cosa? Lo scenario è l’evento massimo atteso, quindi convenzionalmente si considera il terremoto più grave di cui si ha notizia. Qui a Catania quindi si fa riferimento ai terremoti del 1169 e 1693, che hanno avuto origine dalla faglia ibleomaltese, che corre parallela alla costa, circa 20 km di distanza. Una rottura in questa faglia avrebbe conseguenze gravissime in tutta la Sicilia sud-orientale. Invece, gli eventi sismici legati alle faglie dell’Etna colpiscono zone limitate”.
 
È credibile che questo tipo di terremoto abbia una cadenza fissa?
“In riferimento alla faglia ibleomaltese questa cadenza è calcolata pressappoco in trecento anni. E trecento anni sono già passati. Ma sono statistiche fatte su pochi eventi, perché non sappiamo cosa è successo prima dell’epoca romana. Ma qui siamo nel campo della previsione. Le attività della Protezione Civile sono quattro: previsione, prevenzione, soccorso e ripristino. È bene concentrarsi sulla prevenzione, perché le previsioni sono ancora poco attendibili e hanno valore solo come studio scientifico, non sono cioè utilizzabili a scopi operativi, perché per fare sgomberare una città bisogna sapere dove e quando accade con precisione il sisma”.
 
Torniamo allo scenario di rischio. Come si fa a stabilire con esattezza il numero di edifici danneggiati, le vittime, i quartieri a rischio? Quali sono i parametri presi in considerazione?
“Di solito si realizzano due tipi di scenario. Per prima cosa lo scenario massimo, poi uno intermedio. A Catania si può considerare il 1693 (magnitudo 7.4 Richter) come evento massimo e il 1818 (5.6 Richter, simile a quello dell’Abruzzo che è stato del 5.8) come caso intermedio. Diversi sono i fattori analizzati: innanzitutto il tipo di onda sismica, poi le condizioni locali del suolo. Perché ci sono suoli che attenuano l’onda, altri che la esaltano. Uno di questi ultimi è, ad esempio, la zona attorno a Via Lago di Nicito. Lì, prima dell’eruzione del 1669, c’era un lago poi colmato con fango, detriti. Non è quindi un suolo compatto, tanto che il terremoto del ’90 provocò proprio in quella zona ingenti danni. Molti di noi sono convinti che Catania sia costruita sulla roccia, ma questo non è affatto vero. Oltre Lago di Nicito, tutta l’area nuova di Librino, Fossa Creta, già lo dice il nome, è tutta zona argillosa. Così come non è detto che il centro storico poggi su roccia compatta, perché la roccia lavica ha molte cavità, grotte. Se un edificio poggia su una crosta di appena un metro e sotto c’è il vuoto, sono guai. Terzo elemento: le caratteristiche degli edifici”.
 
Sono stati mai fatti a Catania degli studi sulla situazione degli edifici pubblici?
“Sulla vulnerabilità degli edifici è stato realizzato uno studio ponderoso tra il ’97 e il ’99 dal Dipartimento Nazionale di Protezione Civile, allora guidato da Franco Barberi, che fu inviato alle amministrazioni locali nell’aprile del 2000. Si chiamava “Censimento di vulnerabilità degli edifici strategici e speciali nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia”. Fu fatta una graduatoria di vulnerabilità, città per città, di tutti gli edifici pubblici: scuole, ospedali, strutture di aeroporto, ferrovie, Enel. Furono divisi in diverse classi di vulnerabilità: alta, medio-alta, medio-bassa, bassa. Barberi mandò questi volumi, frutto di un anno e mezzo di lavoro, a tutti i sindaci, raccomandando di approfondire questo lavoro basato su una schedatura che, per singolo edificio, prendeva in considerazione diversi parametri: altezza, se in muratura o cemento armato, età dell’edificio, tipologia strutturale, il tipo di tetto, la pendenza del terreno, ecc. Sottolineava quindi che lo studio doveva rappresentare solo una fase iniziale e raccomandava di prendere in seria considerazione gli edifici della classi di vulnerabilità alta e medio-alta.
È uno studio su cui anche la Procura de L’Aquila sta basando le sue indagini per individuare le responsabilità per i crolli di molti edifici pubblici”.
 
A livello locale come è stato recepito questo studio?
“Se ne sono fregati. Non hanno fatto assolutamente niente. Lo studio arrivò al Comune nell’aprile del 2000, quando c’era già il sindaco Scapagnini. Ma fu del tutto inutile. A Catania tra gli edifici ad alta vulnerabilità ci sono per esempio la scuola De Amicis, la scuola Guglielmino, l’ospedale Maurizio Ascoli. Uno dei paradossi emersi è che a Catania sono più in pericolo gli edifici in cemento armato che quelli in muratura. In questo caso sarebbe stato necessario fare il carotaggio del cemento armato, per vedere in che stato si trovava. A questo studio dovevano seguire altre indagini, vedere la situazione del terreno di fondazione, stilare le priorità definitive e agire per mettere in sicurezza questi edifici”.
 
Sono stati fatti altri studi su Catania?
Sì, a Catania, rispetto al resto d’Italia, fu fatto qualcosa di più. Nella seconda metà degli anni ’90 fu iniziato uno studio, il Progetto Catania, da parte del Gruppo Nazionale Difesa dai Terremoti coordinato dal prof. Ezio Caccioli del Politecnico di Milano. Collaborarono una dozzina tra università e gruppi del Consiglio Nazionale della Ricerca. Grazie a questo fu fatta un’analisi anche degli edifici privati, con finanziamenti del Dipartimento della Protezione Civile e del Comune in minima parte”.
 
Che fine hanno fatto questi studi di prevenzione?
“Chiusi in un cassetto. I motivi di riservatezza derivano anche dal fatto che se si dice apertamente “quell’edificio crolla”, questo perde di valore. Ma la cosa più importante è che la gente deve sapere per poter intervenire”.
 
Ci sono state leggi che hanno permesso di far diventare operativi questi studi sulla prevenzione?
“L’unica legge per la prevenzione fu la 228 del ’97, ma è stata utilizzata malissimo. Il Comune di Catania ha utilizzato questi soldi per costruire le rotatorie sulla Circonvallazione, i parcheggi scambiatori, viale Alcide De Gasperi e viale Lainò che unisce la Circonvallazione all’ospedale Cannizzaro. Un’altra piccola fetta era destinata agli edifici privati, ma erano briciole, tanto che a Catania potevano essere finanziati una ventina di interventi. Per finanziare la realizzazione del viale Alcide de Gasperi, ad esempio, si sono inventati che il lungomare era a rischio tsunami. L’idea che il traffico non si concentri sul lungomare ma su un’arteria parallela non è sbagliata, era già presente nel piano Piccinato. È stato sbagliato finanziarla con i soldi per la messa in sicurezza delle scuole e degli ospedali”.
 
Perché fu fatta questa legge?

“Dopo il sisma di Santa Lucia del dicembre ’90, fu fatta la legge 433 del ’91. Dopo qualche anno ci si accorse che i soldi erano in più rispetto agli interventi che si dovevano fare. C’erano circa mille miliardi in più da poter spendere nelle quattro province della Sicilia orientale (Messina, Catania, Siracusa e Ragusa). Il coordinamento degli assessori comunali alla Protezione Civile (che oggi non esiste più) che allora presiedevo, insieme al Dipartimento Nazionale di Protezione Civile diretto dal prof. Franco Barberi, chiese di poter utilizzare questi soldi per la prevenzione. Furono così messi a disposizione dei comuni e delle province e indicammo come priorità le scuole. Poco dopo cambiò l’amministrazione comunale, fu eletto Scapagnini e i soldi che sono toccati a Catania furono utilizzati per realizzare altro. Per edifici pubblici e scuole non fu spesa una lira”.
 
Chi doveva controllare il corretto utilizzo di questi finanziamenti?
“L’utilizzo dei fondi veniva deciso di concerto da una commissione composta da sei persone: tre della Regione e tre del Dipartimento di Protezione Civile. Ma a Catania il sindaco Scapagnini fu nominato commissario straordinario per l’emergenza traffico e la sicurezza sismica. Per quanto riguarda gli edifici, molti Comuni furono dotati di nuove strutture per la Protezione Civile, i Coc (Centri Operativi Comunali). Ma fu fatto poco. La maggior parte dei finanziamenti è finito nelle strade, finanziate facendole passare come ‘vie di fuga’, nelle chiese. A Catania, per esempio, fu restaurata la Chiesa vicino a Corso Martiri della Libertà… Esperienza quasi fallimentare”.
 
Leggendo il racconto degli ultimi 15 anni, sembra che il passaggio dalla giunta Bianco a quella Scapagnini sia all’origine di tutti i problemi. Non è una visione troppo semplicistica?
“Per grandi linee è andata così. È innegabile e non lo dico perché io sono stato coinvolto in prima persona. Lo sanno tutti. Allora c’era un’attenzione alla Protezione Civile, si realizzò il coordinamento degli assessorati comunali alla Protezione Civile della Sicilia orientale. Ma l’altra cosa importante è che a Roma c’era il professor Barberi che, essendo uno studioso di queste cose, era particolarmente sensibile. I progetti di studio di cui abbiamo parlato sono stati finanziati quasi interamente dal Dipartimento Nazionale; la legge sulla prevenzione del ’97 fu fatta dal Parlamento.
Oggi Bertolaso ha una responsabilità grave: l’accento sulla prevenzione è stato abbandonato. Lui lo sa, lo dice anche e minaccia spesso di dimettersi ma alla fine non lo fa mai”.
 
Se non si dedica alla prevenzione cosa fa oggi la Protezione Civile?
“Berlusconi circa sei, sette anni fa ha modificato la legge 225 sulla Protezione Civile, inserendo un comma che assegnava alla Protezione Civile anche l’organizzazione dei grandi eventi, come il G8 di Genova, la beatificazione e la santificazione di Padre Pio, i Mondiali di calcio del 2006.
Tutti gli appalti per i servizi necessari in questi casi vennero quindi fatte con ordinanza di Protezione Civile, il che significa saltare le procedure normali di appalto e fare trattative private. La Protezione Civile è stata snaturata, tanto che la Commissione Europea ha avviato una procedura d’infrazione all’Italia per questo. È indubbio che la struttura della Protezione Civile e il sistema dei soccorsi funzionano, ma perché la spina dorsale è costituita da migliaia di volontari organizzati, i Vigili del Fuoco, la Croce Rossa”.
 
Cosa si dovrebbe fare a Catania in ordine di priorità? 
“Recuperare il tempo perduto. Noi abbiamo avuto una grande fortuna in questi anni e non ce ne stiamo rendendo conto: dopo il terremoto del Friuli la natura ci ha dato quasi trent’anni di tregua, perché il terremoto dell’Abruzzo è stato severo, ma non può essere considerato catastrofico. Questo tempo doveva essere utilizzato per mettere in sicurezza le nostre città. Ora bisogna correre. Il piano casa dovrebbe quindi diventare piano casa sicura, dare degli incentivi alle famiglie per rendere sicura la loro abitazione. Sarebbe un buon incentivo anche alla ripresa economica”.


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