Rimborsi Ars, nuova udienza del processo a Pogliese Sentenza solo dopo elezioni, i timori per la campagna

Nell’entourage di Salvo Pogliesecandidato sindaco del centrodestra a Catania, l’ipotesi che più delle altre produce apprensione è che il processo palermitano per peculato venga strumentalizzato a fini politici. Che diventi un tema velenoso della campagna elettorale, proprio mentre il morbido ovale del leader forzista campeggia sui sei per tre di mezza città. Ieri mattina si è tenuta una nuova udienza, al tribunale di Palermo. Alla terza sezione sezione penale di piazza Vittorio Emanuele Orlando sono stati sentiti gli ex deputati regionali capigruppo Giulia Adamo (ex Fli e Udc), Titti Bufardeci (ex Fi) e Dino Fiorenza (ex Mpa e gruppo misto). Le loro deposizioni continueranno nell’udienza dell’11 aprile. L’indagine, sorta nel 2012, è nota ai più con la sintesi giornalistica: spese pazze ai gruppi Ars.

Poco più di un anno fa l’eurodeputato Pogliese è stato rinviato a giudizio per la gestione dei fondi che la Regione riconosce ai gruppi costituiti all’Assemblea regionale siciliana. I comportamenti, su cui la procura palermitana ha posto la sua lente d’ingrandimento nel 2014, risalgono al periodo 2008-2012: secondo i magistrati, 14 parlamentari – quelli che maneggiavano il denaro – utilizzavano i fondi per attività diverse dai fini istituzionali. Il numero complessivo degli indagati, in prima battuta, era di 97 persone. Un processo multiforme, con un piano penale e uno erariale, stralci, patteggiamenti. E una progressione piuttosto lenta. 

A quell’epoca l’azzurro era vice capogruppo del Pdl, ma di fatto guidava la corrente degli ex Alleanza Nazionale presente in aula. Gestendo per questo, in prima persona, la quota di contributi riconosciuta a quel settore del partito. Agli albori dell’indagine Pogliese era considerato responsabile di peculato per una cifra vicina a 70mila euro. Il processo, per il medesimo reato, riguarda però una cifra che si aggira tra i 40 e i 50mila euro, mentre alcune delle contestazioni sono cadute in fase preliminare.

A difendere il forzista è il penalista Giampiero Torrisi. Se da un lato la procura di Palermo è convinta che Pogliese abbia abusato dei rimborsi per i gruppi dell’Ars, addirittura effettuando dei bonifici dal conto del partito a quello personale, dall’altro proprio quelle movimentazioni di denaro dal Pdl alla tasca del parlamentare europeo – a detta del suo legale – dimostrerebbero la liceità del suo comportamento. La linea difensiva allestita da Torrisi, infatti, poggia su un pilastro: Pogliese avrebbe anticipato di tasca propria il denaro per una serie di spese del gruppo  Pdl (stipendi dei dipendenti, acquisto di materiali, organizzazione di iniziative), a causa della difficile situazione finanziaria in cui annaspava la compagine berlusconiana in quegli anni. Poi, quando i rimborsi veniva liquidati, ne avrebbe bonificato una parte sul suo stesso conto corrente, per recuperare quanto anticipato. Torrisi è convinto di possedere le carte che dimostreranno questa tesi, ma questo si vedrà. Al momento, il candidato sindaco preferisce non rilasciare dichiarazioni sulla propria posizione processuale. 

C’è poi il punto di intersezione dove traiettoria giudiziaria e parabola politica si incontrano. Al contrario di quanto affermato da più parti, il primo grado del processo non è affatto agli sgoccioli. Per arrivare a sentenza potrebbe servire almeno un anno. E – a quel punto – Pogliese potrebbe anche essere divenuto primo cittadino di Catania. Lo staff del forzista non si dice affatto preoccupato per l’esito del processo. Il timore, più che altro, è che una campagna elettorale condotta dai suoi avversari con toni giustizialisti possa far perdere al candidato sindaco uno spin che al momento sembra per lo più favorevole. Peraltro su un argomento, quello dell’uso dei fondi pubblici, che negli ultimi anni ha pesato come un macigno sugli equilibri elettorali, non solo in Sicilia. 

Un primo assaggio del clima che potrebbe ingenerarsi ha aiutato a fornirlo Emiliano Abramo. Uno degli altri candidati sindaco catanesi, nel corso dell’intervista realizzata un mese fa nella redazione di MeridioNews, non ha lesinato colpi. Il presidente regionale della comunità di Sant’Egidio ha definito il processo come un «imbarazzo per la città». Dal quartier generale pogliesiano rispondono – a denti stretti – che la candidatura a sindaco dimostrerebbe ulteriormente la serenità di Pogliese, che avrebbe potuto rimanere schermato dall’immunità da europarlamentare e disinteressarsi del destino della città. Anziché esporsi al dettato della famigerata legge Severino del 2012, che costringe gli amministratori locali a dimettersi anche soltanto in presenza di una condanna in primo grado. 


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