Scontata la pena per associazione mafiosa, il figlio del boss Totò voleva rifarsi una vita lontano dalla Sicilia. Un provvedimento del 2002 lo ha invece rimandato a casa. Tra le resistenze del sindaco, che teme un rafforzamento di Cosa Nostra. Ma i volontari del Laboratorio della legalità assicurano: «La nostra società è abbastanza forte»
Riina Jr torna a Corleone «Ma i giovani hanno gli anticorpi»
«Anche lui, come tutti, deve avere una seconda possibilità. Qui non sarà facile, ma per noi non fa molta differenza. Corleone in questi anni è molto cambiata». L’arrivo di Giuseppe Salvatore Riina, 34 anni, terzogenito del boss Totò ha provocato in questi giorni una valanga di dichiarazioni accese. Un coro di «Qui non lo vogliamo», dal governatore del Veneto Luca Zaia al sindaco di Corleone Antonio Iannazzo. Preoccupati della pericolosità di Salvuccio, come tutti lo chiamano, accusato dal collaboratore di giustizia Luigi Rizza, del clan catanese dei Cappello, di voler progettare nel 2009 un attentato contro l’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano. Ma a Corleone c’è chi non si fa intimidire e guarda al concreto. Come Liborio Grizzaffi, dell’associazione Il Germoglio. Il gruppo che, insieme ad altri, gestisce il Laboratorio della legalità: luogo d’incontro dei volontari antimafia, nella casa che prima della confisca ha ospitato la latitanza di Bernardo Provenzano.
Riina jr è tornato a Corleone domenica mattina dopo aver scontato otto anni e dieci mesi di reclusione per associazione mafiosa ed estorsione. Ma il desiderio del figlio di Totò ‘u curtu e Ninetta Bagarella era un altro. Voleva allontanarsi dalla Sicilia, andare a Padova e ricostruirsi una vita – spinto anche dalla madre -, grazie al lavoro in un’associazione pronta ad accoglierlo. Un provvedimento del 2002 disposto dalla Procura di Palermo e ritrovato solo sabato nel suo fascicolo nel carcere di Voghera, dov’era detenuto lo obbliga però a risiedere ancora a Corleone. In attesa del ricorso del suo avvocato, Giuseppe Salvatore Riina è quindi tornato a casa.
Un rientro sotto traccia, accolto solo dai familiari. «Noi stessi lo abbiamo appreso dai media racconta Liborio Grizzaffi Non credo che molti corleonesi ricordassero i termini della sua scarcerazione». Corleone negli ultimi vent’anni è molto cambiata. Grizzaffi e i suoi amici, che si occupano di educazione dei giovani alla legalità dal ’96, ne sono stati testimoni. «I ragazzi studiano, seguono un percorso diverso spiega Purtroppo i migliori emigrano. Ma non credo siano più così disposti a delinquere per il guadagno facile». Il lavoro quotidiano delle associazioni non può essere insomma cancellato da un solo uomo. Seppure con un cognome che pesa.
E’ piuttosto il clamore suscitato dal suo ritorno a preoccupare. Polemiche, giornalisti, flash e telecamere. Pronti è il timore che vive Corleone a «mischiare tutto in un unico calderone». Un disegno di un paese in bianco e nero: la traccia di uno stereotipo, senza sfumature. «Ma qui non siamo tutti mafiosi», sottolinea Grizzaffi. «Per crescere serve tranquillità sospira Le stesse persone ormai convinte della necessità di esporsi potrebbero allontanarsi, sentendo violentato l’impegno di ogni giorno».
L’arrivo del figlio del boss riconosciuto dai giudici come capo di una cellula mafiosa non è quindi indolore. Ma pronto per essere riassorbito. «Ognuno ha diritto a una seconda possibilità ammette Grizzaffi Ma non qui. Perché la sua strada sarà in parte decisa da altri». L’impressione è che Cosa Nostra voglia costruire il suo nuovo capo. «Non sarebbe comunque un problema conclude Perché avremo una società forte in cui eventuali attività criminali non attecchiranno».
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