Ieri l'incontro tra Rettore e presidi di facoltà insieme con i membri del Senato Accademico e quelli del Consiglio d'Amministrazione dell'Università di Catania. All'ordine del giorno le prime considerazioni in merito alla modifica della governance voluta dalla riforma Gelmini. E stavolta il solitamente arrembante Toni Recca ha invitato tutti a non avere fretta
Riforma dello Statuto, meglio andarci piano
Mentre gli studenti, i ricercatori e quella non trascurabile minoranza di docenti che ha espresso la propria indignazione dai tetti e per le strade e in centinaia di lettere e mozioni s’interrogano su come proseguire un’efficace e dignitosa resistenza quotidiana, la riforma Gelmini inizia il suo cammino d’attuazione. Si tratta di un processo ancora incerto, che coinvolgerà – tra crocicchi di dribbling e azzardi da bar – da un lato gli atenei, dall’altro una burocrazia ministeriale, oggi come non mai protagonista di quella che fu, o in base all’articolo 33 della Costituzione avrebbe dovuto essere, l’autonomia universitaria.
All’università di Catania, dopo un Natale cautelativamente privato dal conforto degli auguri, oltre che di conferenze stampa a rischio di contraddittorio (“Tenuto conto del clima di tensione”), l’attività degli organi collegiali è ripresa informalmente con una riunione convocata dal rettore lunedì 11 gennaio. All’inizio era stato annunciato un incontro tra il Magnifico e i presidi di facoltà, un party per soli gentiluomini. Ma vuoi perché, coi tempi che corrono, a tavola in tredici non è proprio il caso, vuoi perché è sempre meglio trovare il giusto punto d’equilibrio tra snobismo e populismo, l’incontro è stato allargato a tutti i membri del Senato accademico e del Consiglio d’Amministrazione.
E a questo punto c’era già chi s’aspettava la solita tattica di gioco tutta d’anticipo e in contropiede, affidata a scatti da centometrista, palleggi, lanci e passaggi tra le linee amico-nemiche, cui il rettore ha abituato l’ateneo sulle questioni più delicate: dalla trattativa sulle sedi decentrate, all’autonomia dell’università dall’ingerenza delle segreterie politiche, all’improvvisa chiusura di facoltà con cappuccino e cornetto, all’adozione del numero chiuso a tappeto. Ma gli ammiratori del “calcio totale” del rettore si sono sbagliati. Nonostante gli apprezzamenti espressi per la riforma Gelmini come “esperimento”, questa volta Recca ha preferito ripiegare sul modello teutonico-italiano, più basato sulla difensiva e che non contempla lo spettacolo. Così, nel corso della riunione, è stato lo stesso rettore a invitare a non avere troppa fretta a proposito della riforma dello Statuto dell’ateneo: “Attendiamo i provvedimenti attuativi e prendiamoci tutto il tempo necessario per riflettere”.
Sta di fatto che l’intera università dovrà essere rivoltata come un calzino e che entro sei mesi (massimo nove) lo statuto approvato quindici anni fa sotto il rettorato di Rizzarelli, nel maggio del 1996, dopo un laborioso processo di discussione affidato a un senato accademico allargato ad hoc, dovrà essere abbandonato, pena il diretto intervento ministeriale. ll disegno di legge Gelmini dedica infatti alla questione della Governance degli atenei un lunghissimo articolo che invita perentoriamente tutte le università statali “entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, a modificare i propri statuti in materia di organizzazione e di organi di governo dell’ateneo”. Ciò porterà alla scomparsa delle attuali facoltà, le cui funzioni saranno assorbite dai dipartimenti (ai quali sono state attribuite anche responsabilità didattiche). Ciò comporterà che tutti i dipartimenti siano ridisegnati di conseguenza, nonostante il recente accorpamento. E si dovranno poi affiancare nuove strutture interdipartimentali sostitutive delle attuali facoltà; strutture più ampie che rimangono ancora una “cosa” senza nome: “scuole” o “poli”, anche se nulla impedisce di mantenere la denominazione “facoltà di…”. Ugualmente delicata è la questione della composizione dei nuovi organi collegiali, con l’inserimento di figure quali il “direttore generale” e la previsione di consiglieri d’amministrazione esterni al mondo accademico.
La nuova legge prevede un forte accentramento dei poteri ed esclude dall’elettorato attivo per le massime cariche accademiche sia i ricercatori universitari, che in base allo Statuto in vigore votavano a pieno titolo per l’elezione del rettore, sia il personale tecnico-amministrativo che partecipava con voto ponderato. Infine la riforma Gelmini prevede che la riforma dello Statuto sia un processo guidato dall’alto, affidando il compito di stilarlo a una commissione di soli quindici membri (tra cui due studenti) nominata dal rettore. In base a quali criteri verranno nominati? Ed è possibile pensare che lo Statuto dell’ateneo venga redatto senza un’ampia consultazione della comunità accademica? Messi dinanzi a questa prospettiva, alcuni presidi hanno iniziato ad esprimere le proprie opinioni e si è assistito all’abbozzo di un dibattito. Nell’attesa tutte le cariche accademiche sono congelate. Si parla già di una proroga di un anno per tutti i presidi di facoltà in scadenza e, in tale situazione, è inverosimile che si possa procedere all’attuazione di scioglimenti e riaccorpamenti come era stato precedentemente deliberato.
Il clima dell’incontro informale di lunedì è apparso serenamente ecumenico. Si è detto, col pieno consenso del rettore, che non si può fare a meno di un dibattito pubblico e approfondito. Speriamo che sia vero.