Rifiuti, una sfida persa in partenza Torrisi: «Serve tempo»

La raccolta differenziata in città resta un miraggio. La maggior parte dei catanesi continua a gettare i rifiuti come se nulla fosse cambiato. Molti non riescono neanche a rispettare la fascia oraria stabilita dal Comune di Catania. Complice la totale assenza di controlli, il sistema della raccolta tramite i cassonetti stradali risulta già inadeguato. L’alternativa? Il porta a porta. Difficile da realizzare in una grande città come Catania, secondo l’assessore all’Ambiente Claudio Torrisi. Intanto la percentuale di differenziata resta molto basso: appena il 16%. L’obiettivo previsto per legge? Il 65 per cento entro il 2015. Eppure il target fissato nel contratto con la ditta che ha vinto l’appalto è appena del 38 per cento in cinque anni.

L’esperienza di altre città e molti studi in materia di rifiuti indicano il porta a porta come il sistema migliore per fare la differenziata. A Catania invece il Comune ha scelto la raccolta di prossimità che prevede la presenza dei cassonetti stradali. Perché?
«Perché così è stato previsto dal contratto di appalto. Ormai tre anni fa, quando è stato bandito, questo metodo sembrava essere un buon traguardo. È chiaro che dopo due anni il contratto si sarebbe dovuto migliorare, ma non si poteva correre il rischio di stravolgerlo e dover ripartire da zero. Si è scelto il male minore: un contratto non perfetto ma perfettibile contro un disastro totale. E’ vero, il sistema di raccolta a domicilio è quello che ottiene risultati maggiori, ma per evitare che costi più dell’altro metodo va fatto secondo definiti criteri di logica e pianificazione. Catania ha dieci municipalità che sono completamente differenti l’una dall’altra, stiamo studiando un sistema che sia consono alle peculiarità del territorio».

L’appalto identificato come il “male minore” costa più di 163 milioni di euro e dura cinque anni. Per passare alla raccolta porta a porta dovremo aspettare che scada il contratto?
«No, ma intanto abbiamo in programma di usare quel che resta del 2011 per mettere a punto il più possibile la raccolta di prossimità. Vogliamo raggiungere il massimo che questo criterio può dare, perché in una città di 300mila abitanti non si potrà passare al porta a porta dappertutto dall’oggi al domani. L’ipotesi è quella di introdurre gradualmente la domiciliarizzata in alcune zone della città, anche perché non è detto che verrà fatta ovunque allo stesso modo».

La percentuale di raccolta differenziata per dieci anni è rimasta al sei per cento. Adesso è salita al 16 per cento. La legge regionale stabilisce il minimo del 65 per cento da raggiungere entro il 2015 e il 35 entro quest’anno. Ma l’appalto con la IPI-Oikos pone come obiettivo appena il 38 per cento nell’arco di cinque anni. Questo vuol dire che il nostro Comune è destinato a pagare multe salatissime per non aver raggiunto gli obiettivi di legge?
«No, perché c’è un capitolo di appalto che obbliga la ditta a uniformarsi ai limiti imposti dalla legge. E il discorso si collega al porta a porta, perché teoricamente non posso imporre alla ditta di cambiare tipo di raccolta ma, se le dimostriamo che un altro metodo non solo non le costa di più ma le porterà anche un ritorno, le cose cambiano. Per esempio, la ditta è obbligata a sostituire i cassonetti danneggiati, cosa che le chiederemo di fare. E se il cassonetto non c’è, non si può danneggiare. È chiaro che se a fine dicembre saremo ancora al 16 per cento non avremo concluso nulla. Intanto però dobbiamo pensare ad arrivare al 35 per cento».

Cosa farete per raggiungere questo obiettivo?
«Tra pochi giorni partirà la grossa campagna di comunicazione prevista nell’appalto, con passaggi nelle televisioni, spot anche alla radio, conferenze stampa del sindaco, cartelloni di sei metri per tre e vari totem per le strade».

Perché la campagna non è stata fatta sei mesi fa per informare e preparare la gente?
«Perché sei mesi fa non erano stati distribuiti i famosi kit che oggi invece hanno tutti».

Ma l’informazione non dovrebbe essere preventiva? Molti catanesi sono stati colti alla sprovvista dal kit e dall’inizio della raccolta differenziata e si sono fatti scoraggiare dai dubbi e dalle poche informazioni.
«Su questo punto devo tenermi a distanza perché io non sono un esperto di comunicazione. Se ne occupa il titolare dell’Urp del Comune di Catania, il dottor Nuccio Molino. Secondo lui, se fosse partita prima l’informazione, al momento di ricevere i sacchetti i i cittadini avrebbero già dimenticato tutto. Meglio avere un periodo di interregno con la gente che quasi non sa che farsene dei sacchetti. Anzi, proprio per evitare che si andasse a briglie sciolte su questi temi e per pianificare ogni singolo passaggio, è stato costituito un tavolo tecnico per la comunicazione che si sta riunendo periodicamente. La campagna di informazione parte infatti nel momento in cui tutte o quasi tutte le zone della città hanno ricevuto il kit».

Non pensa che oltre all’informazione serva anche il controllo? Molti non rispettano neanche l’orario di conferimento.
«Certo, contemporaneamente all’informazione infatti partirà un sistema di vigilanza che inizialmente sarà dissuasiva e successivamente repressiva. Abbiamo chiesto che per un mese venga messo a disposizione un certo numero di vigili urbani per i controlli. Per fare rispettare gli orari serve sicuramente la repressione. Purtroppo il fatto che le regole si rispettano solo se si viene puniti è un grave segno di arretratezza culturale del territorio».

Nella legge regionale si fa riferimento alla costituzione di un osservatorio sui rifiuti che deve servire da organo di controllo. A Catania, pur senza alcuna delibera comunale, è stato costituito un osservatorio di cui fanno parte, oltre alle tre associazioni ambientaliste della città – Wwf, Rifiuti Zero e Legambiente – sia il Comune che la ditta appaltatrice. Com’è possibile che chi deve essere controllato sia fra coloro che controllano?
«L’osservatorio, di cui fanno parte anche l’università e la prefettura, è nato su mia proposta al sindaco, per fare una concertazione con l’esterno e per soddisfare anche la richiesta delle associazioni. È un’altra cosa rispetto all’osservatorio di cui parla la legge, che non ne prevede uno comunale ma provinciale, perché il centro organizzativo del territorio doveva essere la Provincia. La legge infatti nasce per abolire i 27 Ato (Ambiti territoriali ottimali) e formarne dieci, uno per ogni provincia e uno per le isole minori. Ma i comuni si sono opposti. Il nostro è un organismo di monitoraggio, stimolo e studio. Un’iniziativa nuova che non ha molti simili neanche in campo nazionale».

Al momento dell’assegnazione dell’appalto le tre associazioni che ne fanno parte avevano presentato un esposto contro il Comune.
«Sì, un esposto anche molto pesante. Ma quando abbiamo cominciato a parlare e a considerare le possibilità e le alternative, hanno potuto vedere lo sforzo che tutti stavamo facendo e hanno, con molto coraggio e molta coscienza, deciso di fare un passo indietro. Invece di cercare la guerra hanno scelto la collaborazione, perché si sono resi conto che c’erano le migliori intenzioni da parte di tutti».

Oltre alla comunicazione e al controllo, servirebbe anche che i cittadini possano vedere i benefici della differenziata. Con la raccolta di prossimità sarà difficile ricevere una riduzione della tassa sui rifiuti nella bolletta. Non crede che l’incentivo di risparmiare sulle bollette potrebbe essere un buon motivo per i catanesi per cambiare abitudini?
«Non sono d’accordo. Non si devono rispettare le regole perché si riceve in cambio un premio. Quando è stato introdotto il divieto di fumare nei luoghi pubblici chiusi non si è cominciato a premiare chi non lo faceva più».

Ma sarebbe come minimo un segnale dei risultati raggiunti dalla raccolta differenziata.
«È vero, l’obiettivo è da un lato la salvaguardia dell’ambiente e dall’altro la riduzione dei costi. Ma su quest’ultima non dobbiamo illuderci. Purtroppo in Italia il sistema del conferimento dei materiali riciclabili è un po’ malato, perché la libera iniziativa non esiste. Tutto il sistema afferisce a un consorzio, il Conai – Consorzio nazionale imballaggi, che è obbligatorio. Può succedere quindi che dal punto di vista del mercato le frazioni raccolte non trovino sbocco. E il rifiuto è un bene solo se si riesce a farlo diventare tale e se c’è la filiera industriale pronta a riceverlo, recuperandolo con il riciclo».

Sembra un circolo vizioso. Da un lato, se a Catania non si differenziano i rifiuti, la filiera industriale non è incentivata a svilupparsi nel territorio e, dall’altro, se non c’è la filiera, anche se si fa la differenziata si avranno meno possibilità che questa venga sfruttata al massimo e che sfoci nel riciclo.
«In parte è così, ma non è detto, perché materiali come la plastica, se di buona qualità, si possono vendere altrove. Però mi è capitato di vedere plastica, raccolta tramite i canali ufficiali e ben messa, essere pronta per venire bruciata negli inceneritori per alzare il potere calorifero. Certamente quella non era la sua destinazione ottimale, ma è comunque una destinazione. Dobbiamo capire che fare i talebani è sbagliato: l’ambiente ha bisogno di tanta scienza e tanta cura, però prendere alcuni dati per certi e assodati e dire che tutti gli altri non esistono non è corretto».

Certo è che nei comuni dove c’è il porta a porta le cose funzionano decisamente meglio. Secondo lei non resta il sistema migliore di raccolta?
«Sì, però il termine porta a porta non significa nulla di per sé. Nel senso che bisogna vedere come è fatto. In molti Comuni limitrofi i sacchetti stanno davanti alle case dalle sette di sera alle sette del mattino, con tutto ciò che comporta un sacchetto lasciato alle intemperie, ai cani e ai barboni. L’umido, poi, viene raccolto due giorni a settimana. Per me è assurdo perché quando ci sono 40 gradi tenere l’organico tre giorni a casa non è l’ideale. Abbiamo anche verificato che da quando è partito questo tipo di raccolta molti cassonetti della zona periferica vicina a questi Comuni ricevono 30 tonnellate di rifiuti in più rispetto al normale. Perché molte persone, non trovando più i cassonetti, portano i propri rifiuti in città».

Insomma, se si è troppo pigri per differenziare e si vive in un Comune con il porta a porta, è quasi naturale far fare un giro turistico ai propri rifiuti per deporli nei cassonetti catanesi, dove ancora prevale l’indifferenziato. A maggior ragione, non sarebbe stato più logico omologare il tipo di raccolta?
«Questo coordinamento di tipo provinciale si ipotizzava nella legge regionale del 2010, ma non ha poi trovato applicazione. Nella provincia di Catania sarebbe stato particolarmente complicato da realizzare. Basta pensare al Calatino, dove funziona egregiamente Kalat Ambiente e si fa un ottimo porta a porta. Ma si tratta di un territorio a se stante rispetto ai Comuni concentrati ai piedi dell’Etna. La differenza sta nella conformazione del territorio, architettonica e stradale. Se si deve fare la raccolta domiciliarizzata tra villette singole a schiera è facile, ma in una città densamente urbanizzata dove non ci sono strade larghe, dove non ci sono androni e portieri e con condomini alti 20 piani è completamente diverso».

 


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