Rifiuti, Palermo a un bivio: o si cambia o si affonda

La nuova sigla che dovrebbe sostituire l’oramai defunta Amia – la Rap – non debutta sotto i migliori auspici. Ereditare una cultura aziendale fallimentare, un carico di personale sovradimensionato (l’Amia di Torino ha 1836 dipendenti servendo 900 mila abitanti, l’Amia 2200 con una città di 700 mila abitanti), getta le premesse perché si vada incontro a un altro disastro.

Le fasi di crisi possono essere l’occasione di un profondo cambiamento. Secondo Einstein, “la crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi”. A Palermo la strada intrapresa va in altra direzione e rischia di essere la ripetizione ingigantita del processo di privatizzazione che trasformò l’Amia da municipalizzata in arcipelago privilegiato e milionario di società per azioni.

E’ stato mai quantificato il danno per mancati arrivi turistici che essere la città più sporca d’Europa ci provoca? Come si farà a conciliare gli esuberi di personale con l’imperativo categorico per una città in crisi? Aumentando le tasse? Noi ci auguriamo di no.

Se si pensa di far transitare i dipendenti Amia sotto le nuove insegne senza demolire un metodo di lavoro che fa gridare d’orrore ogni cittadino che scorre le vie cittadine si sarà soltanto riverniciato a nuovo un’azienda decrepita e inefficiente.

Palermo sta soccombendo sotto le emergenze. Il lascito di falangi di personale frutto di assunzioni dissennate delle scorse amministrazioni non assicura nessun segno visibile di novità. Perché la crisi sia un’opportunità bisogna lavorare d’ingegno e fantasia, ma occorre dire anche dei no e sfidare impopolarità momentanee per una gratitudine solida e duratura.

Nell’economia di mercato se un’azienda è inefficiente o sforna prodotti difettosi, alla fine chiuderà i battenti. L’Amia agendo in regime di monopolio ha evitato di essere punita in tal modo, ma il suo fallimento si è riversato sui cittadini gravati da una Tarsu che non ha corrispettivo in un buon servizio. Da altre città italiane e d’Europa ci vengono esempi di sana gestione. Si vorranno utilizzare?

Al tempo della crisi idrica in Sicilia si ricorse al generale Jucci e come per magia si completarono opere ferme da decenni, l’acqua iniziò a scorrere dentro tubi a secco per le migliaia di furti e la mafia dei pozzi cambiò mestiere. Per l’Amia occorre una cura simile. Se si avrà coraggio e fantasia vedremo questa città rinascere dai suoi disastri e anticipare il futuro. Altrimenti sarà un altro grano del rosario delle occasioni perdute recitate al buio di una città in rovina.


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La nuova sigla che dovrebbe sostituire l’oramai defunta amia - la rap - non debutta sotto i migliori auspici. Ereditare una cultura aziendale fallimentare, un carico di personale sovradimensionato (l’amia di torino ha 1836 dipendenti servendo 900 mila abitanti, l’amia 2200 con una città di 700 mila abitanti), getta le premesse perché si vada incontro a un altro disastro.

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