«Leviamoci dalla testa che a questo problema ci possa essere soltanto una soluzione». Salvo Cocina, alla guida dell'ufficio speciale per la differenziata, sta seguendo i primi passi dell'assessore Figuccia. Che valuta diverse strade. Dal compostaggio al combustibile secondario. Ecco le differenze
Rifiuti: biogas, termovalorizzatori, cementifici Le alternative sul tavolo del governo regionale
Biogas, «sicuramente». Termovalorizzatore, «se servirà, soltanto uno». Differenziata, «è la base». Ma tra le soluzioni per rendere normale il ciclo dei rifiuti in Sicilia c’è anche l’opzione cementifici e quella delle spedizioni all’estero, per cui i bandi si faranno ma la sensazione è che non ci credono né gli uffici regionali, né la coppia Figuccia-Musumeci. «Leviamoci dalla testa che a questo problema ci possa essere soltanto una soluzione», premette Salvo Cocina, dirigente alla guida dell’Ufficio speciale per la raccolta differenziata, che sta accompagnando i primi passi del nuovo assessore. Se la linea finora passata è quella di puntare sul biogas – «servirebbero 12 impianti da 50mila tonnellate ciascuno», è il progetto annunciato pochi giorni fa – molto si deve proprio a Cocina. Che da mesi ha lanciato l’allarme: la differenziata non può funzionare a pieno regime anche perché mancano gli impianti che trattano l’organico (sono solo sette quelli attivi in Sicilia).
Già, perché quando si parla di biogas parliamo di umido. Si tratta di impianti di compostaggio che, con sistema anaerobico cioè in assenza di ossigeno, producono batteri che decompongono il rifiuto producendo gas e lasciando il compost, molto richiesto in agricoltura come concime. Il gas può essere immesso in un generatore elettrico (e in questo caso si tratterebbe di impianti di biogas semplici), o può essere prima purificato dall’anidride carbonica (e in questo caso il risultato finale sarebbe il metano). Una soluzione a impatto quasi zero, dunque. Un impianto simile è in costruzione, ad esempio, nei pressi della discarica della Sicula Trasporti, in territorio di Lentini. «Dovrebbe entrare in funzione a gennaio – spiega Marco Morabito, responsabile tecnico dell’azienda – e avrà una capacità da 70mila tonnellate all’anno».
Una quantità che – alla luce dell’attuale situazione della differenziata, ad agosto (ultimo dato disponibile) in provincia di Catania era al 26 per cento – potrebbe essere sufficiente, ma che, con un sistema di porta a porta davvero a regime, risulterebbe inidonea per soddisfare le necessità della provincia etnea, nonostante la presenza di altri due impianti di compostaggio, quello di Ofelia a Ramacca e quello di Kalat Ambiente a Grammichele. Il conto è matematico. «La letteratura in materia ci dice che il 40-45 per cento dei rifiuti che produciamo è di natura organica – spiega Morabito – nel momento in cui a Catania e provincia si arriverà a differenziare quanto meno la metà di questa frazione, quindi il 20 per cento, allora il nostro impianto non basterà».
Più biogas dunque, con la benedizione delle associazioni ambientaliste. «No rigassificatori, sì a impianti di compostaggio anaerobico: la strada indicata dal governo regionale è quella giusta, almeno a parole, poi vedremo come si concretizzerà», sottolinea Danilo Pulvirenti, di Rifiuti Zero e assessore all’Ambiente nella giunta grillina di Augusta. Tuttavia anche in questo caso i tempi sono lunghi. Sicula Trasporti tra un mese realizzerà il suo impianto di biometano dopo due anni di lavorazione. E nel frattempo? Nell’immediato la Regione pubblicherà dei bandi per portare fuori dall’isola i rifiuti, «ma i costi saranno molto alti», ha messo le mani avanti l’assessore Figuccia. Una strada già testata dal governo Crocetta e scartata proprio per questo motivo. Il rischio è solo allungare i tempi.
Un’alternativa sul tavolo degli uffici regionale è quella dei cementifici. Impianti dove solitamente si bruciano combustibili fossili, ma che potrebbero accogliere una parte di rifiuti, il cosiddetto Css, il combustibile solido secondario, cioè la frazione secca, quello che resta dopo aver levato le materie che non si possono bruciare (vetro, metalli, ecc) e l’organico. «Sì, può essere una strada percorribile, ma non risolve il problema – spiega Cocina – perché parliamo di frazioni residuali di rifiuti e perché in Sicilia c’è solo un cementificio, e anche in questo caso serve un avviso pubblico».
Sullo sfondo resta il tema dei termovalorizzatori. L’ultima stima del ministero dell’Ambiente, sulla base dei dati Ispra del 2014 quando ancora la differenziata sull’Isola era su percentuali a una cifra, parla della necessità di bruciare 685mila tonnellate di rifiuti in Sicilia, cioè il 35 per cento di tutti quelli prodotti in un anno. Anche in questo caso, come per i cementifici, il combustibile ideale è rappresentato dalla frazione secca, da plastica e carta. Al di là delle decisioni che prenderà la Regione, ce n’è uno, a Pace del Mela, nel Messinese, che potrebbe nascere perché sottoposto a volontà del ministero dell’Ambiente, che ha già dato il via libera (resta da aspettare il parere della soprintendenza). L’impianto avrebbe una capacità di 500mila tonnellate l’anno.
«Noi non siamo per un no pregiudiziale ai termovalorizzatori – precisa Cocina – vogliamo impostare un ciclo virtuoso completo, che è fatto di diversi elementi. Se alla fine, per chiudere questo ciclo ed eliminare la parte di rifiuti residuale quindi non riciclabile, servirà un termovalorizzatore, si farà. Ma non esiste un’unica ricetta».