Referendum No Triv, consigli comunali dovranno tacere Il divieto è incluso in una nota del ministero degli Interni

I consigli comunali italiani non potranno discutere del referendum sulle trivelle per tutta la durata della campagna elettorale. Non si tratta di un pesce d’aprile in anticipo, ma di un preciso divieto delle prefetture, che hanno recepito una circolare del ministero dell’Interno. Attraverso il provvedimento, il Viminale invita sindaci e istituzioni ad astenersi dalla propaganda sul quesito referendario del 17 aprile. «Dal 16 febbraio 2016, giorno di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale – si legge nella circolare – e fino alla conclusione delle operazioni di voto, è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione a eccezione di quelle effettuate in forma impersonale e indispensabili per l’efficace assolvimento delle proprie funzioni».

Il ministero precisa inoltre che l’espressione pubbliche amministrazioni «deve essere intesa in senso istituzionale, riguardando gli organi che rappresentano le singole amministrazioni e non con riferimento ai singoli soggetti titolari di cariche pubbliche». In altre parole, i singoli politici, in quanto cittadini, potranno fare attività di propaganda «al di fuori dell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali», ma il silenzio dovrà regnare all’interno delle istituzioni. Consigli comunali in testa. «Si fa, pertanto, affidamento – si legge ancora nel documento – sui doveri di equilibrio e di correttezza degli amministratori in carica, nella scelta delle modalità di eventuali messaggi di propaganda referendaria».

Non ha tardato ad arrivare la replica dell’Anci Sicilia, secondo cui il provvedimento potrebbe mettere in pericolo la vita democratica del Paese. «Un tale divieto – ha precisato Leoluca Orlando, sindaco di Palermo e presidente dell’associazione – nega una delle prerogative essenziali che caratterizzano la vita democratica delle comunità locali. Non si può chiedere ai rappresentanti dei cittadini, eletti democraticamente, di astenersi su decisioni che chiamano in causa la difesa dell’autonomia comunale sulle scelte che ricadono sul proprio territorio». Secondo Orlando, «con il decreto Sblocca Italia, gli enti locali sono stati già estromessi dalle scelte decisionali che riguardano il loro territorio o i loro mari. Oggi si vuole anche negare ai rappresentanti dei cittadini il diritto di parola». Dal primo cittadino del capoluogo, arriva anche il primo atto di insubordinazione: «Come sindaco di Palermo affermo la necessità che ci si esprima con un contro le trivelle e per uno sviluppo sostenibile dell’economia della città e più in generale di una terra come la Sicilia». Da presidente di Anci Sicilia, invece, Orlando ribadisce che è «una prerogativa di ogni Comune favorire la partecipazione democratica sulle scelte di sviluppo del proprio territorio».

D’altra parte il Comune di Palermo, contro le trivelle, si era già espresso circa un anno e mezzo fa. Era il 18 dicembre 2014, infatti, quando il consiglio comunale aveva approvato una mozione del consigliere Alberto Mangano. Con quel documento si sosteneva che, attraverso il decreto Sblocca Italia, fosse stata violata la sovranità amministrativa comunale e regionale, comportando di fatto una «estromissione dalla partecipazione degli enti locali da ogni procedimento, in contrasto con l’articolo 118 della Costituzione». Da allora, il governo ha pensato bene di superare il contrasto, modificando la stessa Costituzione. Ma quella è un’altra storia. Anzi, un altro referendum.


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