Lo si sparge sull’insalata e lo si butta dentro la pentola quando l’acqua bolle. Senza il cloruro di sodio, volgarmente conosciuto come sale da cucina, si sa, le pietanze avrebbero ben poco sapore. E anche nella vita, un po’ di sale, di buonsenso, non guasta mai, affermava Plinio il Vecchio con il suo cum grano salis. Quando si immagina l’estrazione del sale in Sicilia il pensiero vola subito alle Saline di Trapani. Eppure esiste un altro luogo meno conosciuto, ma senz’altro più affascinante dove ha inizio la storia geologica del sale che ogni giorno è sulle nostre tavole: si tratta della Miniera di Sale di Realmonte, gestita dalla società Italkali, a una quindicina di chilometri da Agrigento, un luogo così unico e particolare da essere diventato anche una tappa turistica.
Vi si accede direttamente con il pullman, percorrendo un lungo tunnel che porta fino a 100-150 metri sotto terra. Una volta arrivati nelle ampie gallerie dell’immenso giacimento, lo scenario è davvero mozzafiato: imponenti pareti di roccia costituita da livelli di salgemma, gesso e altri sali potassici di colore chiaro alternati a strati di sedimenti più scuri, in un eccezionale gioco cromatico naturale. Quest’alternanza raggiunge il massimo della sua spettacolarità nel cosiddetto rosone, un particolare punto in una parete dove gli strati, piegati dalla tettonica, sono stati tagliati dall’uomo in modo tale da sembrare una serie di cerchi concentrici.
Il sale estratto (circa 1 milione 600mila tonnellate all’anno) si è formato sei milioni di anni fa quando la Sicilia, il Mediterraneo e l’Europa intera erano molto diversi da come li conosciamo adesso. Con il progressivo spostamento delle zolle tettoniche e l’avvicinamento tra Spagna e Africa, infatti, quello che oggi è l’attuale stretto di Gibilterra si chiuse, interrompendo così la comunicazione tra il Mediterraneo e l’Oceano Atlantico. Ciò provocò la cosiddetta «crisi di salinità»: un radicale cambiamento delle condizioni climatiche all’interno del Mediterraneo che, in mancanza di apporti idrici dall’oceano e a causa della forte evaporazione, divenne un bacino isolato di acque salmastre dentro il quale cominciarono a formarsi spessi depositi di rocce evaporitiche (generate cioè dall’evaporazione dell’acqua di mare). Sei milioni di anni fa si sarebbe potuto arrivare dalle coste dell’Appennino calabro fino alle spiagge africane passeggiando tra deserti salini e paludi salmastre.
Ma all’interno della miniera è possibile respirare non soltanto scienza e geologia: dalla passione e dalla maestria di alcuni minatori, infatti, è stata ricavata la Cattedrale di Sale, una vera e propria chiesa consacrata dove statue, altare, crocifisso e acquasantiere sono stati scolpiti su grossi blocchi di sale. In questa cornice unica il 4 dicembre di ogni anno si celebra la messa in onore di Santa Barbara, protettrice dei minatori. La miniera, luogo dove scienza, tecnologia, storia e arte s’incontrano e si fondono insieme è visitabile su prenotazione ogni ultimo mercoledì del mese, a numero chiuso e previo accordo con la società Italkali.
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