Randazzo, incendio devasta l’eco-villaggio sull’Etna L’ideatore: «Io voglio combattere per la mia terra»

«Io voglio combattere per la mia terra. E non mi riferisco ai cinque ettari di terreno in cui stavo installando il mio sogno. Parlo della Sicilia. Sono tornato perché ci credevo, mi sono sbagliato?». Salvo Rubulotta parla mentre sfoglia, sul cellulare, le immagini dell’incendio che ha devastato il casolare in cui stava prendendo forma il progetto Etna bio valley. Un eco-villaggio che aveva da poco cambiato sede, passando dalla zona di Fornazzo (frazione del Comune di Milo) a quella di contrada Donna Bianca, in territorio di Randazzo. È lì che nella notte tra il 29 e il 30 maggio qualcuno si sarebbe introdotto dando fuoco a quello che ha trovato. Le immagini sono eloquenti: tegole del tetto ammucchiate, travi nettamente tagliate, perfino una scala rimasta appoggiata nei pressi dell’ingresso. Ieri il giovane ha presentato una denuncia per danneggiamenti e violazione di domicilio, dopo che – tornato nella struttura – ha dovuto constatare che qualcuno ci si era introdotto nuovamente. Distruggendo gli ultimi pezzi di architravi.

L’area occupata da Etna bio valley a Randazzo è grande quasi il doppio della precedente: cinque ettari di terreno, una struttura antica ma già ristrutturata, una bella stalla e il bosco tutto attorno. «Un paradiso – continua Rubulotta, mostrando le foto delle travi bruciate e del tetto scoperchiato – Me ne sono innamorato appena l’ho visto. L’ho avuto in comodato d’uso gratuito per quattro anni dagli anziani proprietari, erano felicissimi che un giovane tornasse a dare vita a quella terra a cui loro erano così affezionati». Lui, 30 anni, è tornato nel Catanese dopo anni passati tra Londra e Montecarlo. «Il mio ultimo datore di lavoro è stato Flavio Briatore – ride – Così si capisce il mondo in cui vivevo e dal quale volevo allontanarmi con tutto me stesso».

Con un gruppo di amici, all’indomani della protesta del Movimento dei forconi e della crisi per la mancanza di carburante nell’Isola, decide di mettere in piedi un villaggio eco-sostenibile. Basato sull’autoproduzione, il biologico e il lavoro collettivo. Un sogno reso possibile da un primo terreno di quasi tre ettari, messo a disposizione di un progetto ancora acerbo. E che negli anni, però, ha preso forma. Finché non si è trasferito in uno spazio più grande, in cui sarebbe stato necessario fare giusto qualche lavoretto. «Lo abbiamo reso un posto più accogliente: sistemato il bagno, comprato i letti, abbiamo ripulito il palmento e piantato diversi alberi per coltivare la biodiversità del territorio dell’Etna». Un investimento di diverse migliaia di euro, per raggiungere l’obiettivo finale: «Riuscire a fare di uno stile di vita lento e aderente ai ritmi della natura il mio – aggiunge l’ideatore del progetto – Senza inseguire il bisogno di un fine settimana libero e costruendo una comunità di persone sempre diverse ma con le quali condividere un concetto simile di vita. Come una famiglia allargata».

Un’idea che somigliava un po’ a quello di Emanuele Feltri, il giovane imprenditore agricolo catanese che quando si è trasferito in contrada Sciddicuni, a Paternò, ha dovuto fare i conti con intimidazioni di stampo mafioso: l’uccisione delle pecore, l’incendio del raccolto, lo svuotamento delle cisterne con l’acqua necessaria per l’irrigazione. Una «mafia rurale», si diceva all’epoca, di cui si è tornato a parlare nei mesi scorsi con i blitz che hanno riguardato il Parco dei Nebrodi e l’attentato al suo presidente Giuseppe Antoci. Cronache negative che non risparmiano neanche l’Etna: a settembre 2016 un’operazione della Dia aveva portato al sequestro di 700mila euro di beni ritenuti riconducibili a Francesco Rosta, 74 anni, presunto esponente di vertice della famiglia mafiosa Ragaglia, collegata ai Laudani di Catania ed egemone proprio nel territorio di Randazzo.

Le attività di Etna bio valley in quella zona sono cominciate a tutti gli effetti a metà maggio. Quando i documentaristi di Italia che cambia sono stati ospitati alle pendici del Vulcano. Pochi giorni dopo, è stato il turno di due giovani woofer, viaggiatrici che avevano scelto di trascorrere un periodo in Sicilia offrendo il proprio lavoro in cambio di vitto e alloggio. «Mi sono sempre raccomandato di non lasciare mai il terreno scoperto, senza nessuno là dentro – afferma Salvo Rubulotta – Ma la notte tra il 29 e il 30 maggio loro l’hanno trascorsa fuori e, l’indomani mattina alle sette era tutto bruciato». I vigili del fuoco di Randazzo, intervenuti sul posto, avrebbero parlato di incendio doloso. Un fatto che adesso il giovane titolare di Etna bio valley collega con l’inquietante immagine dello scheletro di una mucca rinvenuto nel bosco, all’interno del suo terreno. «Sapevo che sarebbe stato difficile, ma non immaginavo quanto – conclude il 30enne – Adesso ho bisogno di non essere lasciato solo. Perché chiunque sia stato a farmi questo e qualunque sia stato il motivo non può vincere».


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