Il racket mafioso dietro la vendita dei rotoloni: «L’educazione non serve, torniamo ai tempi antichi»

L’invasione dei rotoloni in Sicilia nasconde un modo meno impopolare di imporre il pizzo. Che fosse un fenomeno diffuso e organizzato a MeridioNews era già saltato agli occhi anni fa, quando strade e marciapiedi di alcuni Comuni siciliani hanno cominciato a essere ingombrati da «super offerte» e da «affari speciali». All’epoca, però, gli investigatori ne sapevano poco e nelle carte delle inchieste non c’era più di qualche accenno. Un intero capitolo, invece, i rotoloni se lo sono guadagnati entrando a pieno titolo tra i racket delle estorsioni mafiose emersi nell’operazione che ha portato all’arresto di 181 persone a Palermo. A occuparsi di questo settore in espansione sarebbero stati Antonino Seranella, detto Tonino, e Giuseppe Di Maio, alias Bloccato – gestori proprio di un negozio di rotoloni – con la collaborazione di Federico Mirko D’Alessandro.

Panifici, salumerie, carnezzerie, bar, negozi di cialde di caffè e di casalinghi. Imposizioni a tappeto a commercianti e titolari di attività di ristorazione disseminate sull’intero territorio della famiglia mafiosa di Palermo Centro. Nella maggior parte dei casi sarebbe bastata la minaccia implicita dell’appartenenza a Cosa nostra. Solo in casi particolari si sarebbe reso necessario passare agli espliciti avvertimenti di pestaggio con appuntamenti fissati all’interno di una stalla. Seranella e Di Maio, dalla loro base operativa in un magazzino in via Generale Cadorna, avrebbero deciso a chi consegnare – senza preavviso e senza nessun accordo – la merce, in quali quantità e a quale prezzo. Perfino quello da applicare poi ai clienti finali.

«Devo andare a portare i rotoloni là». Difficile opporsi a una consegna imposta di una trentina di rotoloni, anche quando ancora ce ne sono da vendere più di cento. «Non c’è problema», risponde rassegnato un commerciante. Qualcuno a resistere ci prova comunque, adducendo motivazioni più di fatto che di principio: «C’è ‘a malaria (la crisi economica, ndr). Per adesso, c’è un bordello». A crearlo, in questo caso, sarebbe la concorrenza. In particolare, quella di un negoziante di origine cinese che in zona sta attirando clienti con prezzi competitivi sui rotoloni di carta. «È un problemino», minimizza Di Maio, sicuro di poter contare sulla forza dell’intimidazione per sbaragliare la concorrenza. «Questo – assicura – poi lo sbrighiamo noialtri». Di fronte alle (poche) opposizioni dei commercianti, Seranella diventa nostalgico. Ripensa all’epoca in cui per le estorsioni non era necessario nemmeno dover insistere: «Dobbiamo lavorare come i tempi antichi (cioè imponendo il pizzo con la violenza esplicita, ndr). L’educazione non serve a niente».

Innanzitutto non serve ai due a mettersi in tasca uno stipendio. Almeno non nell’immediato. I guadagni del racket dei rotoloni, infatti, sarebbero finiti tutti nelle casse della famiglia mafiosa. «E quanto ci vuscamu (guadagniamo, ndr)? Non ci vuscamu niente!». Ancora di più diventa un impegno per Seranella e per Di Maio ampliare questo business per averne un tornaconto anche personale. «Allora – ragionano i due – gliene diamo 30 a Tanino e 50 a Totò. Per fargli vedere a chiddu (a quello, cioè al loro capo, Giovanni Castello, ndr) che noialtri ammuttiamo (spingiamo, ndr)». Niente che segua anche le più basilari logiche di mercato: tutto viene imposto a tavolino. «Se le cose le organizziamo bene, lo stipendio ci rimane», chiarisce Seranella, raccogliendo l’entusiasmo del collega: «Vedi che qua lavoriamo forte!». In effetti ci sono state settimane in cui si sono sfiorati i mille rotoloni consegnati in diversi esercizi commerciali della zona.

L’importante è non sconfinare in territori che sono controllati da altri clan mafiosi. Quello di loro competenza sarebbe stata l’area compresa tra corso Tukory e il mercato di Ballarò. Tanto che quando viene fuori la questione di un commerciante che si trova in una zona di confine, viene detto che «bisogna essere precisi con il metro». Al di là delle misure, è il commerciante stesso a trovare poi una soluzione che non scontenti nessuna delle due organizzazioni: comprare rotoloni di carta, in parti uguali, sia dall’una che dall’altra, perché «a me piace camminare dritto».


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