Donne in giunta: intesa all’Ars ma restano le complicazioni. L’esperta: «Bene, ma servono regole interne ai partiti»

In principio era il disegno di legge sugli enti locali, quello che è andato in Aula per quattro volte e per quattro volte non ha concluso niente. Poi si è andati nel particolare: all’interno del pastone di norme al vaglio dei deputati dell’Assemblea regionale siciliana ce n’era anche una sulla parità di genere all’interno delle giunte dei Comuni al di sopra dei tremila abitanti, dove si sarebbe dovuta garantire una rappresentanza femminile non inferiore al 20 per cento (contro il 40 per cento della norma nazionale, che a oggi solo la Sicilia non ha recepito). E se da un punto di vista ideologico l’argomento è già spinoso, in questo caso, è stato pure peggio. Perché, in mancanza di date certe, una volta approvato il testo, la norma sarebbe subito entrata in vigore, con conseguente stravolgimento di tutte le giunte già in carica, incluse quelle di Palermo e Catania, decisamente sotto soglia quanto a rappresentanza femminile.

Da qui l’azione congiunta e interpartitica tra deputate e consigliere comunali del capoluogo di regione, guidate da un lato dalla leghista Marianna Caronia, dall’altro dalla Dem Mariangela Di Gangi, che hanno rilanciato con forza per far sì che anche la Sicilia si adeguasse al 40 per cento della legislatura nazionale. Ma come sarà stata presa questa iniziativa dai colleghi uomini? All’Assemblea regionale fioccano i favorevoli, uno su tutti Carlo Gilistro, deputato del Movimento 5 stelle, tra i più entusiasti: «Come può un pediatra non avere fiducia nelle donne? – dice – Io metterei anche il 70 per cento per le donne. Per me la donna ha una visione molto più universale». «Assolutamente favorevole» anche Mario Giambona, del Partito democratico, che ha presentato anche una proposta di legge che ricalca le cifre della norma nazionale. Secondo il deputato è «inaccettabile che ancora in Sicilia ci sia una norma così arcaica».

«Favorevolissimo» anche Dario Safina (Pd), così come Ismaele La Vardera (ScN), che aggiunge: «La questione seria, secondo me è che la politica siciliana continua a essere patriarcale e il fatto che siano state le stesse donne a fare questo documento condiviso, è una cosa anomala, perché dovevamo essere noi uomini a proporre questa cosa». Più cautela nel centrodestra, con Pippo Laccoto (Lega) «favorevole dalla prossima legislatura», stessa posizione di Giuseppe Carta (Popolari e autonomisti). «Sarà argomento che dibatteremo in una riunione di maggioranza e troveremo un punto di incontro: non è un tema su cui ci si può dividere», aggiunge il neoforzista Marco Intravaia. Resta invece più distaccato Dario Daidone (FdI): «È una norma che è in discussione, vediamo che dice l’Assemblea, ma personalmente non ho nessuna difficoltà». Chi si dice contrario è invece Carlo Auteri, sempre di Fratelli d’Italia: «Già le quote rosa sono presenti in tutte le elezioni. Non vedo la motivazione di aumentare, ma non per discriminare il sesso femminile, la donna è già un valore aggiunto, ma ritengo che nelle elezioni la quota rosa sia in maniera egregia presente. Bisogna privilegiare la meritocrazia».

«Sono assolutamente favorevole all’adeguarsi alla norma nazionale, anche se secondo me non si affronta veramente il problema che c’è nelle istituzioni – dice Luigi Sunseri (M5s) – La parità di genere non si fa con emendamenti spot, ma con le procedure. Noi nella storia siamo sempre stati il gruppo che ha avuto il maggior numero di donne, siamo la perfetta dimostrazione del fatto che non serva una norma per portare le donne nei luoghi della politica: quando si vuole, ci si riesce. Il segnale dato dei partiti in questa regione è l’opposto, quindi serve una norma che lo imponga». Insomma, a parte qualche eccezione, una pioggia di consensi che si è alla fine sublimata con la dichiarazione del presidente della prima commissione Ars, Ignazio Abbate: «In commissione Affari istituzionali è emersa la disponibilità di tutti a recepire in Sicilia la norma nazionale sulla rappresentanza di genere, che prevede il 40 per cento di donne nelle giunte comunali». Un placet non si sa quanto spontaneo, ma che comunque giunge a un risultato.

Insomma, tanti sì, ma sarebbe veramente riduttivo portare tutto su una mera questione numerica. «Non sono una fan delle quote, non lo sono mai stata, ma mi rendo conto che in alcuni casi sono servite per muovere le acque e produrre una rappresentanza – dice a MeridioNews Rossana Sampugnaro, professoressa associata di Sociologia dei fenomeni politici dell’Università di Catania – In molti casi, in molti paesi europei, le quote hanno avuto una data di scadenza, poi la norma ha riportato alla situazione di partenza: una misura straordinaria atta a modificare le cose. In linea di principio sarebbe bene che fossero i partiti a occuparsi del riequilibrio delle quote con delle regole interne, cosa che è successa per esempio nell’ambito del Movimento 5 stelle».

«Ritengo che tutto questo dovrebbe essere frutto di una evoluzione culturale – prosegue la docente – In alcuni contesti, però, questa cosa è servita. C’è tutta una serie di trucchi, anche se abbiamo una legislazione molto avanzata, ma è pur vero che ci sono stati dei meccanismi utilizzati dai partiti: uno tra tutti donne capolista in molte circoscrizioni, con alta probabilità di vincere in tutte, salvo poi dovere scegliere una circoscrizione e lasciare gli altri posti all’uomo secondo in lista, un giochetto che ha finito per sfavorire le donne. Una cosa simile – continua Sampugnaro – alla decisione spesso presa di schierare donne capolista in collegi uninominali in cui la probabilità di vincere era molto bassa. Una tendenza, non certo una cosa che fanno tutti, ma una linea che ci dice che fatta la regola, trovato l’inganno».


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