Quell’invisibile confine fra legalità e illegalità…

Senza la fastosità e la ressa di folla presente all’incontro di inizio 2007 con Fabrizio Gatti il Medialab accoglie un’altra nota firma di Repubblica, per di più, siciliana. Sebastiano Messina, giarrese di nascita ma romano d’azione, ha iniziato la sua carriera ormai quasi trent’anni fa sulle colonne del quotidiano palermitano L’Ora, passando poi a Diario ed al Giornale del Sud di Pippo Fava. Autore di due libri, giornalista parlamentare per Repubblica e critico televisivo, oggi cura “Bonsai”, una rubrica tutta sua sulle pagine del giornale di Ezio Mauro.

 

Messina si è prestato ieri ad una piacevole chiacchierata con i rappresentanti dei giornali universitari ed una ristretta folla di curiosi. Dopo un breve discorso introduttivo del pro-rettore Antonio Pioletti e sotto la moderazione di Enrico Escher, cominciano le domande. I temi affrontati sono diversi, si spazia dal ruolo dei media nei fatti del 2 febbraio al monopolio editoriale nella nostra città alle possibili soluzioni per avere una città, ma anche una regione, più competitiva, ma soprattutto attenta alla cultura della legalità.

 

Com’era prevedibile, si comincia subito parlando dei fatti del 2 febbraio. In particolare si chiede a Messina una sua opinione sul lavoro svolto dai media che, nell’affrontare il tema, hanno proiettato un’immagine negativa della nostra città sullo scenario sia nazionale che estero. “Non posso parlare in generale dei media, ma posso dire che il lavoro svolto da Repubblica mi è sembrato molto ben fatto, perché si è cercato di andare oltre gli stereotipi cogliendo l’anima di questa città”. E continua: “Quello che è successo al Cibali è una delle pagine più brutte della storia di Catania, però spero che, anche grazie al lavoro dei giornali e delle televisioni, noi siciliani possiamo essere spinti a cercare di comprendere le radici di un simile atteggiamento”.

 

Si chiede in seguito che effetti possano avere sulle coscienze popolari le parole di alcuni artisti come Carmen Consoli o Franco Battiato che, riferendosi appunto a Catania, parlano di “disagio sociale” e “degrado politico”. “Stimo molto sia Battiato che Carmen Consoli e ritengo che le loro parole possano contribuire a svegliare chi ritiene che sia normale che questo accada. Il tema della legalità è dirimente per segnare il confine tra le possibilità di sviluppo che Catania ha e la strada per un permanere in un presente che è legato ad un vecchio passato”. A supporto della sua tesi, Messina propone degli esempi lampanti che illustrano come la via preferita della collettività siciliana sia quella di ricorrere all’intermediazione della criminalità per raggiungere il proprio scopo. “Se a Catania ti rubano la macchina, sai che basta andare da tizio e ci penserà lui. Questa è la via breve, ma bisogna saltare il fosso tra la legalità e l’illegalità ed il confine è quasi invisibile”. Qualche parola dopo, viene affrontato il discorso della violenza nella vita di tutti i giorni. “Nel Sud Italia la possibilità di risolvere un contenzioso uccidendo una persona, è incredibilmente più alta che nel Nord Italia. Questo è il motivo per cui ci troviamo una quantità di commercianti che sono costretti a pagare i pizzo alla criminalità.  Perché non rischiano solo la saracinesca incendiata, ma rischiano l’assassinio”.

 

Altra domanda, altro tema. Il monopolio dell’informazione in città e le possibili alternative. Messina sostiene che “Catania è una delle poche città italiane dove c’è un editore che controlla due reti televisive e l’unico giornale che c’è”. E prosegue ricordando come negli anni ’80 si fossero tentate delle iniziative volte a contrastare questo monopolio, ma che, anche a causa di una pressione operata sugli edicolanti affinché favorissero la diffusione de La Sicilia a scapito delle altre testate, videro vanificati i propri sforzi. Ma quale sarebbe una possibile alternativa oggi? “Se io fossi un imprenditore catanese investirei in un giornale free press. Catania è una piazza ideale, perché il catanese tipico se il giornale è gratis intanto lo legge. Penso che tanta gente abbia voglia di sentire una voce alternativa”. Il problema, secondo l’editorialista di Repubblica, è anche che in Sicilia si legge poco. “In qualunque regione d’Italia leggono molto più di noi. Qui invece la gente va al bar per leggere il giornale a scrocco”.

 

Finita la prima tranche di domande, prende la parola Enrico Escher che provocatoriamente chiede se, considerata l’imminente scadenza del “patto” con Ciancio, potrà finalmente essere aperta anche nella nostra città una redazione di Repubblica. Messina inizia spiegando che nell’81 un accordo preso dai rispettivi editori prevedeva la realizzazione di un centro stampa adibito alla teletrasmissione di Repubblica e del Corriere dello Sport. Una clausola di questo accordo vincolava per un dato numero di anni Repubblica a non distribuire una propria edizione nella Sicilia Orientale per non fare concorrenza al giornale di Mario Ciancio. “Questo ‘patto’ è poi stato periodicamente rinnovato nel corso degli anni fino a durare ancora oggi. Io mi augurerei che non venisse più rinnovato. Con altri colleghi siciliani abbiamo chiesto esplicitamente a De Benedetti (l’editore di Repubblica N.d.R.) di non farlo, ma finora l’ha sempre rinnovato”. E insiste: “Vista però la particolarissima situazione di Catania, penso che una voce come quella di Repubblica potrebbe essere una delle possibilità per passare da un monopolio ad un pluralismo”. Tuttavia la questione non dovrebbe essere affrontata esclusivamente ai piani alti: Messina conclude infatti la risposta augurandosi che i catanesi chiedano a gran voce un’edizione come quella che già esiste nella Sicilia Occidentale.

 

La domanda successiva verte sui famigerati 100.000 euro che l’Ateneo dovrebbe pagare al quotidiano locale per avere delle pagine informative riguardanti l’Università e se questi soldi non potrebbero invece essere distribuiti ad altre testate per alimentare quel pluralismo dell’informazione di cui si parlava prima. Escher precisa però come questi 100.000 euro in realtà siano stati ridotti e non siano interamente spesi dall’università che condivide l’esborso con l’ERSU. Cosa ne pensa dunque Sebastiano Messina? “Non mi scandalizza il fatto che l’Università spenda dei soldi per far arrivare la propria voce alla gente tramite un giornale. Però così facendo si inganna il lettore perché l’elemento denaro imbastardisce il patto tra il lettore ed il giornalista che gli fornisce le notizie”. Messina propone poi una serie di esempi per chiarire come, se un giornale diventa schiavo dei propri inserzionisti pubblicitari, rischia di perdere la propria libertà d’espressione in favore delle logiche di mercato.

 

Da questa discussione si arriva a discutere sulla professione giornalistica oggi, ridotta al precariato come tante altre in nome di interessi economici che portano gli editori a preferire “manovalanza intellettuale” con contratti a termine dalle basse remunerazioni (sei poco incline alle eversioni con un contratto semestrale pagato una miseria ) in luogo di figure professionali più competenti che potrebbero creare problemi con articoli scomodi.

 

Chiusa la questione strettamente giornalistica si torna a parlare della città. Di cosa ha bisogno Catania per poter rinascere a livello politico e culturale? “Catania è una città viva, piena di gente capace, che ha sia la voglia che la forza per sapersi affermare quando viene messa alla prova. Non so quale sia la strada da seguire, finché però rimarrà una città dove si rischia la vita se non si ubbidisce ai cosiddetti ‘poteri illegali’, è illusorio pensare di far parte di una comunità europea, perché nessuno investe in un territorio di cui non è padrone”.

 

Un’altra domanda sposta poi l’attenzione più ad ampio raggio, chiedendo quali siano i problemi della Sicilia di oggi. Messina risponde che il problema è la Sicilia stessa. “Qui la benzina viene bruciata ancor prima di arrivare al motore”: una battuta per indicare come le risorse disposte dallo Stato non contribuiscono ad alimentare l’economia siciliana perché vengono assorbite per l’80% dai faraonici stipendi dei politici. Altra causa, come già accennato nelle prime battute dell’incontro, sarebbe poi l’inadeguatezza delle leggi statali contro la lotta all’illegalità siciliana: “Non si può contrastare l’illegalità in Sicilia con le stesse leggi che vengono applicate a Milano e a Roma. Quelle vanno bene quando si è già a regime, ma qui siamo ancora in una situazione di emergenza”. Messina, alludendo chiaramente alla pratica della richiesta del ‘pizzo’, lamenta come una qualunque attività siciliana debba sottostare alla criminalità. Infine, sul mancato decollo dell’economia locale peserebbe anche la manifesta incapacità di far valere i nostri prodotti agricoli sullo scenario internazionale. Così si finisce per essere schiacciati dalla concorrenza estera e dalle logiche di mercato che tendono ancora di più ad affossare la produzione di ricchezza nella regione che, sostiene Messina, oggi è nettamente inferiore a quelle delle altre zone d’Italia.

 

Altre considerazioni sull’inadeguatezza della stampa nel comprendere le dinamiche soggiacenti la tragedia del 2 febbraio, “non si può delegare ai giornali nazionali il compito di risanare la collettività” e sulla politica italiana, “Prodi è un leader mediocre”, concludono questo incontro che vi invitiamo ad ascoltare nella sua interezza grazie a Radio Zammù che lo ha trasmesso in diretta e lo proporrà on-demand nei prossimi giorni sul proprio sito web.

 

 

(Si ringrazia Valerio Contarino per le foto)


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