Si sono avvalse tutte della facoltà di non rispondere davanti al gip Santino Mirabella le nove persone, tra professionisti e imprenditori, poste agli arresti domiciliari ieri dalla guardia di finanza di Catania nell’ambito dell’operazione Pupi di pezza che ha scoperchiato una presunta associazione per delinquere finalizzata a bancarotta ed evasione fiscale. Tra loro c’è anche Antonio Pogliese – il padre del sindaco di Catania – che è il titolare di uno dei più importanti studi di commercialisti etnei e che sarebbe stato, secondo quanto ricostruito finora dagli inquirenti, il «vero epicentro del sistema fraudolento» cui avrebbero partecipato anche Salvatore ed Enrico Virgillito, padre e figlio, come liquidatori-amministratori delle società.
Gli interrogatori si sono tenuti nell’aula gip del Palazzo di giustizia alla presenza dei sostituti procuratori Fabrizio Aliotta e Fabio Regolo. «Non è stata una scelta strategica processuale – spiega il legale di Pogliese, l’avvocato Giampiero Torrisi – ma senza alternative, dovuta all’imponente documentazione da leggere: l’ordinanza del gip è di 370 pagine, la richiesta della procura di oltre 500 e l’informativa della guardia di finanza di 1200. Non potevamo difenderci – aggiunge il legale – senza avere letto tutti gli atti. È una valutazione che abbiamo fatto tutti noi legali impegnati nel caso: ci aspetta un fine settimana di lunghe letture. La prossima settimana – ipotizza il penalista – ci faremo interrogare dai magistrati della procura».
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