Puggelli, regista del fato padrone

«Un gran signore del teatro». Con queste parole Sabino Lenoci, direttore artistico della rivista lirica “L’Opera” e dell’Accademia Lariana, definisce il regista ed attore Lamberto Puggelli, omaggiato venerdì scorso a Catania in occasione dell’anteprima dello spettacolo “La forza del destino” di Giuseppe Verdi, da lui diretto per la Scala di Milano nel 1978, registrato allora per la RAI e adesso rimasterizzato in dvd.

Mentre all’esterno del teatro Machiavelli si svolgeva la giornata della creatività fondata sull’entusiasmo dei giovani, su arrangiamenti ben più aggressivi ma anche su importanti riflessioni riguardo ad argomenti come la mafia, all’interno si sono incontrati molti veterani del teatro “d’oro”, cioè di quel teatro che ha visto la sua epoca migliore a partire dal 1978. Così, tra la commozione e la nostalgia, si è svolta una serata all’insegna della celebrazione dell’arte performativa.

Tramite gli interventi di Sabatino Lenoci, di Cristina Ferrara, direttore artistico del “Carlo Felice” di Genova, e di Maria Rosa De Luca, docente di Storia della musica dell’Università di Catania, si è ricordata la formazione di un innovativo modo di intendere il teatro operata da Giorgio Strehler, fondatore del Piccolo Teatro di Milano, che negli anni ’50 arricchì l’opera di componenti coreografiche ed elementi recitativi improntati alla riproduzione del vero. Con Strehler collaborò anche Puggelli, che mise a frutto i suoi insegnamenti anche nel noto spettacolo verdiano, realizzato con la direzione di Giuseppe Patané e la consueta fratellanza lavorativa con lo scenografo e costumista Renato Guttuso, e al quale parteciparono grandi artisti come Montserrat Caballé, José Carreras, Piero Cappuccilli, Nicolai Ghiaurov, Giovanni Foiani, Maria Luisa Nave e Sesto Bruscantini.

Durante la presentazione, Puggelli ha vissuto vari momenti di commozione, soprattutto di fronte all’affetto dimostratogli dagli allievi venuti ad esprimere gratitudine per la sua gentilezza e professionalità e per il suo impegno, di cui è prova tangibile il “Progetto Machiavelli”, avviato dal maestro per diffondere nell’hinterland catanese la cultura del buon teatro tramite la riapertura di una delle sale storiche della città.

Con grande segno di compostezza ed umiltà, il regista non è intervenuto durante la serata, lasciando al proprio operato la missione di esprimere al suo posto ciò che un’opera maledetta, qual è quella verdiana, ha la capacità di comunicare: l’insopportabile insensatezza di una vita governata da fili invisibili e l’effimero dei rapporti umani, in particolare quelli familiari.

L’amore ostacolato dalle convenzioni, la fuga degli innamorati che sfocia in tragedia, la vendetta: questi i temi di un’opera affascinante e spaventosa, che nell’ambiente della lirica viene definita “maligna” per l’inarrestabile disgrazia che accompagna attori, direttori d’orchestra e perfino il librettista che ci lavorò a lungo, Francesco Maria Piave. Se a questi fu di cattivo augurio conoscere “La forza del destino”, per Puggelli fu, invece, occasione per esplicare la propria visione del palco, definendolo un connubio di vita e morte, di vero e falso: ne sono esempi la presenza di rami aggrovigliati che fanno da sfondo ai dialoghi dei personaggi, l’uso degli alberi di fichi nell’ultimo atto e, infine, la miscela delle tinte forti in rappresentanza della passione, della tragedia e del sangue.

L’opera è descritta dalla professoressa De Luca come «un prodotto complesso per la sua natura oscura e disomogenea che condusse Verdi a lavorare insieme al librettista per sette anni»: dopo una prima rappresentazione nel 1962 a San Pietroburgo, seguì una rappresentazione al Teatro alla Scala di Milano nel 1969. La sua oscurità deriva dal messaggio fondamentale intrinseco: la spaventosa dominanza del fato sulla vita dell’uomo, come dimostrano le casualità che innescano eventi determinanti come l’omicidio o l’incontro tra don Carlo e don Alvaro che muoverà gli ultimi tasselli a compimento di una tragedia familiare. Anche Puggelli ha dovuto fare i conti con la complessità dell’opera, in particolare con la sua struttura irrelata, che contrasterà con un’omogeneità artificialmente apposta, talmente efficace da ricevere il plauso del collega Gattuso e trovare largo seguito tra il pubblico.

La chiave di lettura dell’intera rappresentazione si riconosce nell’impiego del sipario come mezzo di enunciazione del tema e nella visione del dipinto di Picasso “Guernica” che ipnotizza e conduce al punto massimo di concentrazione ogni spettatore che, ancora scevro di qualsiasi sospetto, viene preparato ad assorbire un mirabolante turbinio di emozioni senza staccarsi dalla poltrona e senza distogliere per un solo momento lo sguardo dal palco, incantato non soltanto dalla sorprendente forza espressiva degli attori, ma anche dall’inevitabile convinzione di essere all’interno dell’opera e di far confluire dentro di sé i patemi di ognuno dei protagonisti.

Non a caso il direttore artistico Cristina Ferrara ha richiamato alla memoria le parole più esplicative ed incisive di Puggelli: «L’arte del teatro concorre all’arte più grande di tutte: l’arte del vivere». Una frase che porta a credere che la vita non sia solo un percorso comune scandito dal tempo, ma anche un sogno personale sorretto dalle note di uno spettacolo.


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