Processo Noce, manca ancora la perizia Loris Gagliano sarà trasferito a Rebibbia

Per formulare la perizia psichiatrica su Loris Gagliano servono altri 60 giorni e osservazione ventiquattr’ore su ventiquattro. Ai periti nominati dalla Corte d’appello – davanti alla quale si sta celebrando il secondo grado di giudizio del processo per l’omicidio di Stefania Noce e di Paolo Miano – i 90 giorni già trascorsi da quando è stato conferito loro l’incarico non sono bastati per pronunciarsi sulla presunta infermità mentale del giovane che, il 27 dicembre 2011, a Licodia Eubea, ha ucciso a coltellate la sua ex fidanzata, all’epoca ventiquattrenne, e il nonno di lei, 71 anni. Il ricorso in Appello della difesa si basa sull’incapacità di intendere e di volere di Gagliano al momento dell’omicidio. E si oppone alla sentenza di primo grado del processo, pronunciata il 5 aprile 2013 dal tribunale di Caltagirone: il verdetto era di colpevolezza, e la condanna per Loris Gagliano era al carcere a vita.

Ma il responso di Bruno Calabrese e Francesco Bruno, i due criminologi neutrali a cui spettano gli accertamenti, servirà anche a stabilire se il processo deve continuare. Perché nel corso dell’udienza di febbraio Loris Gagliano aveva richiesto l’annullamento della nuova azione legale e aveva ricusato il suo avvocato, Giuseppe Rabbito, che successivamente è stato assegnato d’ufficio allo stesso ruolo dal giudice Luigi Russo. Già un mese fa, la questione appariva giuridicamente complessa: accettare che Gagliano revocasse l’incarico al legale significava ammettere che fosse capace di decidere, nel pieno possesso delle sue facoltà mentali. E che quindi pure la richiesta di rinunciare al processo fosse valida. La questione è tornata in aula anche durante l’udienza di oggi. «Non vogliamo vincere senza combattere – afferma Enzo Trantino, che tutela gli interessi di Rosa Miano, madre di Stefania, e Gaetana Ballirò, unica dei presenti in casa la mattina dell’omicidio a essere scampata all’assassino – Chiediamo alla corte di agire secondo la volontà dell’imputato, e come la giurisprudenza impone». «La Cassazione si è pronunciata in passato su casi simili – puntualizza Pierpaolo Montalto, avvocato di Giovanni Noce, padre della vittima – e ha stabilito che pure chi è giudicato mentalmente semi-infermo mantiene il diritto di rinunciare al procedimento».

Nonostante le opposizioni – «È un eccesso di garanzia, signor giudice», arringa Trantino – il processo continua. E la lettura di un documento prodotto dalla casa circondariale di Siracusa, dove Gagliano è adesso detenuto, pone una nuova questione. Il personale del carcere aretuseo ha sottolineato, la scorsa settimana, un atteggiamento ostile di Loris Gagliano che si rifiuta di accettare le medicine imposte dalla sua terapia medica. Nel referto inviato al giudice dai siracusani, si consiglia di trasferire Gagliano in una struttura specializzata, in cui il ragazzo possa essere monitorato – e assistito – giorno e notte. Il luogo in questione sarà il nuovo complesso del carcere romano di Rebibbia. «Il trasferimento dell’imputato a Roma – spiega Luigi Russo – faciliterebbe, per questioni di prossimità geografica, i periti nello svolgimento del loro lavoro. Al termine di questi 60 giorni, l’imputato tornerebbe in Sicilia». La palla passa al Dipartimento di amministrazione penitenziaria, a cui spetterà il compito di decidere sia sul trasferimento sia se Loris Gagliano sarà messo in isolamento – come chiesto oggi dall’accusa – o rimarrà a contatto con gli altri detenuti.

La prossima udienza di aggiornamento è fissata per il 14 aprile. I genitori di Stefania Noce, nel frattempo, hanno scritto e consegnato alla corte una lunga lettera. «Se un ergastolo può apparire pesante, o invivibile o disumano (parole di Gagliano) vi invitiamo a riflettere – scrivono – su cosa significhi l’aver stroncato la giovane vita di una ventiquattrenne, assieme al nonno». E concludono: «Vite che nessuno più ci ridarà».


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Per i criminologi interpellati dalla corte d'Appello di Catania non sono bastati tre mesi per stabilire se l'assassino di Stefania Noce e del nonno di lei, Paolo Miano, sia capace d'intendere e di volere. Hanno chiesto e ottenuto una proroga di 60 giorni, a cui il giudice ha aggiunto un trasferimento nella casa circondariale di Roma. Per gli avvocati dei genitori della vittima, si tratta di un «eccesso di garanzia». «L'ergastolo può apparire pesante – scrivono in una lettera Giovanni Noce e Rosa Miano – ma chi ci ridarà mai quelle vite?»

Per i criminologi interpellati dalla corte d'Appello di Catania non sono bastati tre mesi per stabilire se l'assassino di Stefania Noce e del nonno di lei, Paolo Miano, sia capace d'intendere e di volere. Hanno chiesto e ottenuto una proroga di 60 giorni, a cui il giudice ha aggiunto un trasferimento nella casa circondariale di Roma. Per gli avvocati dei genitori della vittima, si tratta di un «eccesso di garanzia». «L'ergastolo può apparire pesante – scrivono in una lettera Giovanni Noce e Rosa Miano – ma chi ci ridarà mai quelle vite?»

Per i criminologi interpellati dalla corte d'Appello di Catania non sono bastati tre mesi per stabilire se l'assassino di Stefania Noce e del nonno di lei, Paolo Miano, sia capace d'intendere e di volere. Hanno chiesto e ottenuto una proroga di 60 giorni, a cui il giudice ha aggiunto un trasferimento nella casa circondariale di Roma. Per gli avvocati dei genitori della vittima, si tratta di un «eccesso di garanzia». «L'ergastolo può apparire pesante – scrivono in una lettera Giovanni Noce e Rosa Miano – ma chi ci ridarà mai quelle vite?»

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