Adesso che si avvicina la sentenza, il calendario è fitto d’appuntamenti. Il processo di secondo grado contro Loris Gagliano il ventisettenne che il 27 dicembre 2011 ha ucciso la sua ex fidanzata, Stefania Noce, e il nonno di lei, Paolo Miano è ormai alle battute finali e si concluderà il 25 novembre, giorno in cui il giudice Luigi Russo formulerà il giudizio d’Appello. Prima di allora, però, dovranno essere sentiti ancora due testimoni: il perito nominato dalla difesa dell’imputato e Filippo Lanaia, psichiatra chiamato in causa dalle parti civili. Quest’ultimo ha consegnato oggi, al tribunale di Catania, la sua relazione sullo stato mentale dell’assassino. «Non sussistono elementi clinici che portino a riscontrare in Gagliano gli aspetti tipici di una personalità psicopatica», afferma Lanaia, neuropsichiatra e professore associato del dipartimento di Neuroscienze dell’università di Catania.
La sua perizia, formulata su richiesta delle parti civili – la famiglia Noce, il Comune di Licodia Eubea dove è avvenuto l’omicidio e il centro antiviolenza Thamaia contraddice quella depositata dai due psichiatri nominati dalla Corte, Francesco Bruno e Bruno Calabrese. Nel documento redatto dai due esperti si diceva che «Loris Gagliano è gravemente paranoico, la sua patologia è praticamente da manuale». «Non ho riscontrato, nel materiale fornito dai due colleghi, prove cliniche e scientifiche che sostengano questa ipotesi», ribatte Lanaia, in accordo coi due consulenti della procura di Catania, Carla Barile e Angelo Zappalà, sentiti a luglio. «Al limite, si può parlare di una persona un po’ strana, forse stravagante, sicuramente è un narcisista sostiene il medico Ma il suo carattere non sconfina in un’alternazione funzionale della personalità». E, specifica lo specialista, «il narcisismo non è fondamento di psicopatia».
Quello che manca a rendere la «stravaganza» di Loris Gagliano una vera e propria malattia sono i sintomi: «Non ha allucinazioni uditive o visive, non ha alcuna alterazione della percezione e della coscienza delle sue azioni, non ha una paranoia continuativa nel tempo». L’unico momento in cui cui il giovane è apparso in stato confusionale e gravemente turbato sarebbe stato quello «immediatamente successivo all’omicidio. Ma anche questo è normale: se fosse stato freddo e cinico, dopo aver fatto tutto quello che ha fatto, avrebbe reso necessarie valutazioni ben più complesse». Il profilo tracciato da Filippo Lanaia non è quindi quello di un uomo incapace, parzialmente o totalmente, di intendere e di volere: «È intelligente, e viene spontaneo pensare che abbia usato le sue conoscenze di Psicologia (il corso di laurea che aveva intrapreso all’università, ndr) per manipolare il risultato dei test a cui è stato sottoposto».
Compreso il celeberrimo test delle macchie di Rorschach, colonna portante della diagnosi di Calabrese e Bruno: «Ci sono esami ai quali uno stesso paziente non può essere sottoposto in un arco di tempo limitato, quello di Rorschach è uno di questi». Invece, le tavole del test erano state mostrate a Gagliano in occasione dell’incontro col primo psichiatra, Eugenio Aguglia, il cui lavoro era servito a sostenere le motivazioni del ricorso in Appello. Ma l’analisi del primo specialista era stata sbugiardata dallo stesso Loris Gagliano, che aveva denunciato di essere stato obbligato a seguire delle terapie contro la sua volontà e aveva raccontato di non riconoscere la sua firma in calce a un disegno che gli veniva attribuito. «All’epoca dell’incontro con Aguglia, l’imputato si era rifiutato di effettuare il test di Rorscharch. E allora perché ha accettato di farlo la volta successiva, in occasione della seconda somministrazione nell’arco di poco tempo?», si domanda Lanaia. Che aggiunge: «Ogni suo comportamento può rientrare in una strategia difensiva ben precisa, tutti i documenti in nostro possesso ci raccontano di un soggetto lucido e assolutamente normale».
Nel valzer dei pareri clinici, a questo punto, manca solo quello del perito psichiatrico nominato dalla difesa di Gagliano. Quest’ultimo sarà sentito il 13 ottobre, nel corso dell’ultima udienza prima della requisitoria del pubblico ministero e delle conclusioni delle parti civili. Poi, a fine novembre, il giudice si chiuderà in camera di consiglio nell’ultimo atto di un processo durato un anno.
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