«Questo è il vero volto della mafia». Ed è per guardarlo da vicino che Linda Russo, presidentessa dell’associazione antiestorsione catanese Libero Grassi, ha invitato i cittadini catanesi a partecipare stamattina alla prima udienza del processo ordinario nato dall’operazione Iblis. Un’indagine che mira a scoperchiare un presunto sistema di collusione tra politici, imprenditori e criminalità organizzata. Così una piccola folla di cittadini si è mischiata ai parenti degli imputati e a una trentina di legali che affollavano l’aula del Tribunale etneo dedicata a Serafino Famà, l’avvocato catanese ucciso dalla mafia nel 1995.
«Siamo qui per testimoniare l’impegno dei cittadini dice Grazia Giurato, di Città Insieme E’ giusto che la città partecipi e sia cosciente di cosa le accade. Con questo processo puntiamo su una speranza nuova, su un possibile cambiamento». Tanto più importante quanto più coinvolge l’intera vita cittadina. «Noi non siamo dei forcaioli sottolinea Linda Russo Ma vogliamo difendere l’economia legale della città». Viziata e condizionata, secondo i magistrati, da un sistema di accordi e collusioni diffuse che hanno investito 53 persone, adesso imputate, tra esponenti mafiosi, imprenditori e politici. «Se tutto questo venisse provato continua la presidentessa Asaec saremmo di fronte alle cause dirette della nostra povertà. Della difficoltà sociale, e non solo economica, di Catania».
Ed è per questo che oggi, durante la prima udienza che vede coinvolti 24 dei 53 imputati uno ha patteggiato e gli altri 28 hanno scelto il rito abbreviato -, cinque associazioni hanno presentato la propria richiesta di costituzione di parte civile. Non solo l’Asaec, ma anche Confcommercio Sicilia, l’associazione antiracket Rocco Chinnici, l’Asaes di Scordia e la catanese Addiopizzo. «Per noi è la prima volta spiega Totò Grosso, presidente di Addiopizzo Catania Ci inorgoglisce e ci fa capire che abbiamo una grossa responsabilità».
Dei 24 imputati, ne mancano all’appello sette: Giuseppe Brancato, Rosario Cocuzza, Carmelo Mogavero, Giuseppe Rincone, Vincenzo Salvatore Santapaola, Giuseppe Tomasello. Ma soprattutto Fausto Fagone, ex deputato regionale Pid ed ex sindaco di Palagonia, che ha deciso di non ricorrere al rito abbreviato come invece hanno fatto altri suoi colleghi. «Perché siamo certi che le prove dimostreranno pienamente la sua innocenza», spiega Carmelo Peluso, l’avvocato che lo rappresenta. Eppure, intanto, Fagone si è dimesso. «Per uscire dal carcere», ammette il legale con semplicità.
Collegati in videoconferenza gli imputati detenuti in altre città. Come Rosario Di Dio, recluso nel carcere di Novara. Il boss di Ramacca è stato tra i principali accusatori del governatore siciliano Raffaele Lombardo e del fratello Angelo, deputato nazionale Mpa, in un primo momento coinvolti nell’indagine con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. La loro posizione è stata poi stralciata, l’imputazione derubricata a reato elettorale e il processo a loro carico corre parallelamente ai due filoni di Iblis.
Dopo le questioni tecniche affrontate oggi, la prossima udienza è stata fissata per il 26 gennaio presso la seconda aula bunker del carcere di Bicocca. E, secondo le intenzioni del giudice, si protrarrà fino al primo pomeriggio. Per arrivare presto a una sentenza attesa dai cittadini.
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