Tra meno di un mese, il 17 ottobre, dovrebbe essere emesso il verdetto sul procedimento per disastro ambientale colposo e omissione di atti dufficio a carico di otto tra docenti e dirigenti dell'Ateneo di Catania. Una storia, quella dell'edificio 2 della cittadella, sul quale gravano sospetti e il peso di un numero imprecisato di presunte vittime
Processo Farmacia, aspettando la sentenza I dubbi nella vicenda dei laboratori dei veleni
Tra meno di un mese, venerdì 17 ottobre, dovrebbe essere scritta la parola fine al primo capitolo della vicenda dei cosiddetti laboratori dei veleni. Per quella data i giudici Ignazia Barbarino, Santino Mirabella e Giancarlo Cascino dovrebbero emettere la sentenza di primo grado nel processo sulle presunte gestioni irregolari dei laboratori nell’ex facoltà di Farmacia. Una vicenda giudiziaria resa pubblica l’8 novembre 2011, con il sequestro dell’edificio 2 della cittadella universitaria, ma iniziata almeno 35 anni fa secondo le ricostruzioni delle parti civili. Anni di condotte irregolari più o meno volontarie – come hanno testimoniato gli ex docenti Francesco Guarrera ed Ennio Bousquet, il tecnico di laboratorio Antonio Palmeri, la dipendente Viviana Ardita e le ex studentesse Sara Schiavolena e Carla Gennaro (figlia, questultima, di una delle presunte vittime) – e veicolate attraverso un sistema fognario ridotto in pessime condizioni. «Abbiamo la prova che dal 1968 al 1997-98 si buttava tutto nei lavandini», ha tuonato in aula Santi Terranova, uno dei legali.
Eppure, nonostante il processo sia arrivato alle soglie della sentenza, sono molti i punti interrogativi in una vicenda intricata che ha messo l’istituzione universitaria davanti a uno scandalo senza precedenti. Le prime perplessità sono emerse quando la pubblica accusa – rappresentata fino a settembre 2013 dal pm Lucio Setola e poi da Giuseppe Sturiale – ha deciso di restringere il periodo preso in esame nel processo dal 2004 al 2007. A causa di questa decisione, i parenti del dottorando Emanuele Patanè – il cui memoriale ha portato alla luce presunte prassi irregolari, rappresentando una delle colonne dell’accusa – sono rimasti esclusi dalla possibilità di costituirsi parti civili. Però la testimonianza postuma, scritta su un pc portatile poco più di un mese prima di morire per un cancro ai polmoni, è stata inserita ugualmente tra le prove e lo stesso computer è stato sottoposto a perizia per accertare che nessun’altra modifica è stata effettuata dopo la morte di Patanè.
Un altro dettaglio emerso nel corso del dibattimento è la sparizione della planimetria dell’edificio 2 ritrovata solo a conclusione delle indagini. Documenti che avrebbero potuto aiutare il lavoro dei tecnici della ditta lombarda esperta in bonifiche ambientali, la It group, convocata urgentemente per effettuare una messa in sicurezza d’emergenza. Un piano poi stravolto, ridotto a un semplice controllo dalla decisione dei vertici universitari di rifare nuovamente l’impianto fognario per risolvere quelle che sono state definite genericamente risalite d’umidità. E poi la decisione di murare i vecchi pozzetti dai quali sarebbe stato possibile prelevare facilmente il materiale di passaggio nelle tubature, le irregolarità riscontrate dall’Azienda sanitaria provinciale fino al 2011, i sopralluoghi dell’Asl effettuati in date considerate strane (a ridosso delle festività natalizie), la classificazione dei laboratori non corretta secondo il parere dei periti dell’accusa.
Su tutto incombe il peso delle presunte vittime dei laboratori, un numero imprecisato – quasi una ventina – tra dipendenti dell’Ateneo e studenti. «Non mi si venga a parlare di morti e feriti di Farmacia – ha scandito uno dei difensori degli imputati, Pietro Nicola Granata – Morti e feriti lasciamoli nel loro dolore e parliamo di questo processo». Eppure nel procedimento i parenti e alcune tra le presunte vittime sono stati ammessi come parti lese. Un procedimento per omicidio colposo plurimo è rimasto a lungo fermo, bloccato al momento dell’avviso di chiusura delle indagini. Lunghi mesi senza alcuna notizia su quello che si pensava sarebbe stato un processo che avrebbe camminato parallelamente a quello sui reati minori. Poi la sorpresa, rappresentata dalla richiesta di archiviazione presentata a dicembre 2013. Qualche giorno dopo, il giorno di Natale, muore quella che finora è l’ultima ricercatrice dell’elenco, la dottoranda Giuseppina Pirracchio.
E, infine, ci sono loro: gli otto imputati. Hanno mantenuto i ruoli dirigenziali Lucio Mannino e Fulvio La Pergola. Il primo all’epoca dello scandalo era a capo dell’area tecnica, mentre oggi copre la doppia delega degli ambiti formazione e ricerca. Secondo voci di corridoio, il prossimo turn over dei quadri dirigenziali dovrebbe riportarlo nuovamente al vecchio incarico. Per lui la condanna richiesta è tre anni e otto mesi per disastro ambientale colposo, omissione di atti dufficio e falso ideologico. Anche La Pergola, ex responsabile del servizio prevenzione e sicurezza, ha subito un cambiamento di ruolo; adesso è responsabile dell’area logistica e spazi a verde ma nel corso della sua testimonianza ha lamentato di essere stato «messo in disparte» dai vertici di Unict. La pena chiesta (così come per gli altri componenti della commissione sicurezza) è tre anni e due mesi per disastro ambientale colposo e omissione datti dufficio.
Giovanni Puglisi nel periodo preso in esame era membro della commissione che avrebbe dovuto risolvere le problematiche riscontrate all’interno dell’edificio. Dall’aprile 2007 è presidente dell’ordine provinciale dei Farmacisti e a questo incarico presto si aggiungerà quello di direttore del dipartimento di Scienze del farmaco. Puglisi, infatti, è l’unico candidato alle elezioni per il rinnovo della carica che si terranno lunedì 29, proprio pochi giorni prima della sentenza. Un ruolo non da poco, quello che andrà a rivestire, dato che secondo la riforma dello Statuto i direttori dei dipartimenti siederanno anche al Senato accademico. Un percorso ai vertici anche per Giuseppe Ronsisvalle. Il due volte preside dell’ex facoltà di Farmacia è stato membro del nucleo di valutazione dell’Ateneo e poi coordinatore del Presidio della qualità. Elemento – la qualità – che ha tenuto a rimarcare anche nella sua testimonianza spontanea durante il processo in via di conclusione.
Quattro gli imputati che hanno mantenuto un basso profilo. Antonino Domina, ex direttore amministrativo, è in pensione dal 2006. Proprio per il ruolo che rivestiva, la sua è la richiesta di condanna maggiore (quattro anni di carcere). Ha lasciato la professione di docente anche Franco Vittorio, all’epoca direttore del dipartimento di Scienze farmaceutiche e a capo della commissione sicurezza. Francesco Paolo Bonina ha preferito tralasciare la vita accademica, conducendo poche attività all’interno del dipartimento. Percorso simile per Marcello Bellia, medico del lavoro responsabile all’epoca dei fatti.