Le temperature più tiepide rispetto alla norma hanno anticipato l'apertura dei nidi del pericoloso lepidottero. «Scendono dagli alberi e se ne trovano una valanga a terra. Si riconoscono perché arrivano a formare file lunghe decine di metri», spiega Giuseppe Distefano di Etnawalk. Con rischi per gli uomini - irritazione cutanea e pericoli per gli occhi - e per gli animali che possono morire soffocati. «Ma il vero problema è nei parchi urbani - sottolinea il docente universitario Santi Longo - A Catania si supera regolarmente la concentrazione di processionaria prevista per legge». Guarda le foto
Processionaria, la nemica dei pini dell’Etna Ma per l’esperto i veri rischi sono in città
«Una piccola Fukushima etnea». Scherza, ma non troppo Giuseppe Distefano, presidente dell’associazione Etna Walk, parlando della processionaria, il lepidottero che da anni ha preso di mira le pinete del vulcano più attivo d’Europa. «In questi giorni, con temperature più tiepide rispetto alla norma, scendono dai nidi sugli alberi e se ne trovano una valanga a terra. Si riconoscono perché arrivano a formare file lunghe decine di metri», spiega Distefano che denuncia anche la presenza di «trappole feromoniche abbandonate e piene zeppe di processionaria, a pochi metri dal rifugio di monte Scavo». Un pericolo per gli uomini e per gli animali, più che per le piante stesse, con rischi per gli occhi e di irritazione cutanea. «In 30 anni non ho mai visto morire un pino a causa della processionaria, ma possono essere un problema per chi usufruisce di quei luoghi. Soprattutto nelle città», spiega Santi Longo, professore di Entomologia generale e applicata presso il dipartimento di Scienze e tecnologie fitosanitarie delluniversità di Catania.
Secondo Longo, la situazione sull’Etna non desta particolare preoccupazione, ad eccezione di alcune zone dove si è entrati in una fase di gradazione, cioè il periodo in cui la popolazione del lepidottero si estende, causando un’estesa defogliazione degli alberi. Si tratta delle aree di Piano del vescovo, vicino al rifugio Sapienza; di monte Spagnolo, sul versante Ovest nel comune di Randazzo, e della caserma Pitarrone, sul versante Nord. Ma non è tanto la presenza della processionaria sull’Etna a preoccupare, quanto piuttosto la sua proliferazione nelle aree urbane. «In tutte le piazze di Catania e di molti altri comuni etnei, i pini hanno livelli di processionaria superiori alle soglie fissate per legge – sottolinea il docente – Recentemente il ministero della Salute, insieme a quello per le Politiche agricole, ha rinnovato il decreto di lotta obbligatoria». Spetterebbe cioè ai cittadini, a proprie spese, risolvere il problema quando si tratta di spazi privati o alle amministrazioni comunali in caso di aree pubbliche. Mentre alle Asl è affidata la competenza di vigilare. «Ma niente di tutto questo avviene – continua Longo – per mancanza di risorse economiche e di uomini».
Trappola Feromonica vicino il rifugio di Monte Scavo
La soluzione sarebbe tagliare i rami su cui si formano i nidi. Ma, a differenza di quanto si crede, questi non vanno bruciati, bensì conservati e isolati in appositi cassoni. Bruciando la processionaria, si distrugge infatti anche il parassita che le feconda, uccidendola. Una specie utile per limitarne la proliferazione. E’ però quasi impossibile trovare questi cassoni. «L’azienda foreste demaniali ne ha collocati sei sull’Etna, ma tre sono stati rubati», spiega il professore. Durante la stagione invernale la processionaria rimane sugli alberi, dentro i nidi impenetrabili. I mesi tra aprile e ottobre solitamente sono il periodo in cui le larve si interrano e si riproducono. Ma le temperature tiepide possono anticiparne l’uscita. E’ in questa fase che l’uomo può rischiare di venire a contatto con i peli urticanti. Inoltre la processionaria ha al suo interno una proteina irritante, la Thaumetopea. Un pericolo per gli animali, in particolare per i cani che leccano o mangiano per sbaglio il lepidottero. «Al cane di una mia amica è andata in necrosi la lingua», ricorda Distefano. Rischi confermati anche dal professor Longo. «Se viene ingoiata, l’animale può anche morire soffocato», spiega.
«Il parco dell’Etna non fa nulla per arginare il problema, si affida solo ad altri enti come l’Università», denuncia il presidente dell’associazione Etna Walk. «Fino al 2007-2008 c’erano più risorse da investire – ammette Longo – Negli ultimi quattro anni l’azienda Foreste demaniali ha avviato un periodo di monitoraggio in alcune zone del vulcano ed è stata programmata la raccolta dei nidi nelle aree destinata alla fruizione di turisti e appassionati. In questi stessi posti andrebbero collocati dei cartelli per segnalare il problema. Ma – conclude – si tratta di un fenomeno naturale che può essere regolato, osservato, ma non cancellato».
[Foto di Giuseppe Distefano]