Porcellum: solo in Italia si va a votare calpestando la democrazia

Democrazia? Ma quando mai! Cosa succederà lunedì, alla chiusura dei seggi? Che tutti i partiti politici faranno una gran bella festa… a base di PORCELLUM. Ma procediamo con ordine.

Pare che la democrazia sia nata a Chio, nell’Asia Minore, tra il 7° e il 6° secolo a.C.. E’ lì che si sarebbe avuto il primo caso documentato di gestione in forma assembleare e non dinastica e un primo passo verso un nuovo modo di gestire la cosa comune. (a destra, una metafora della legge elettorale italiana) 

Prima che la parola “democrazia”, qualche secolo dopo, diventasse di uso corrente, in Grecia venivano utilizzati due termini per indicare la forma di gestione della città-Stato basata sulla parità di governo: isogoria (uguale diritto di prendere la parola durante l’assemblea) e isonomia (uguaglianza di fronte alla legge). La nuova parola democrazia, che significa appunto “governo del popolo”, modificò non poco la gestione della cosa comune implicando il riconoscimento del popolo come autorità legittima di governo. Ciò ebbe una rilevanza storica enorme e comportò una radicale trasformazione delle idee e delle istituzioni politiche.

In una democrazia il potere viene, quindi, concesso a tutti i cittadini. L’estensione dei diritti politici a tutti i cittadini fu un evento storico che cambiò il modo di considerare la cosa comune: poter decidere del proprio futuro permise alle classi sociali meno abbienti, ma più numerose, di imporsi sulle classi più ricche ma meno rappresentate. Venne quindi meno il precedente sistema oligarchico (oligarchia: governo dei pochi).

Questa è la teoria. La realtà come vedremo è ben diversa.

Pare che più di due millenni non siano bastati ai nostri esemplari di HOMO POLITICUS per apprendere gli insegnamenti dei greci (antichi e moderni visto quello che sta succedendo e che i giornali dimenticano di dire), e che ancora oggi, nel XXI secolo, non tutti abbiano il diritto di scegliere chi deve rappresentarli nella gestione della cosa comune. Almeno nel nostro Paese…

L’articolo 1 della Costituzione italiana fissa in modo solenne il risultato del referendum del 2 giugno 1946: l’Italia è una “repubblica democratica…

I caratteri che dovrebbero distinguere la forma repubblicana dalle altre forme di governo di un Paese, come, ad esempio, quella monarchica o quella oligarchica, sono soprattutto due: l’elettività e la temporaneità delle cariche pubbliche (e già qui ci sarebbe da discutere, visto che alcune delle cariche non sono elettive e neanche temporanee, si pensi ai senatori a vita). A questo dovrebbe aggiungersi il concetto di “democratico”, ovvero di “governato dal popolo” secondo l’etimologia e la storia.

La democrazia storicamente pare sia in assoluto una delle più grandi illusioni mai esistite. La vera democrazia non è sostanzialmente mai esistita, per il semplice motivo che, là dove ci fosse una reale autorità del popolo (democrazia reale), lo Stato e i suoi governi non avrebbero motivo di esistere. Anche la democrazia cosiddetta rappresentativa, nella quale gli elettori affidano la gestione della cosa comune a terzi oggi pare oggi essere un miraggio.

Il filosofo greco Aristotele distingueva tra forme di governo “pure” e forme di governo “corrotte”. La monarchia era il “governo del singolo”, l’aristocrazia era il “governo dei migliori” e la politeía era il “governo dei molti”. Secondo Aristotele, però, queste forme di governo correvano il rischio di degenerare in dispotismo monarchico o in oligarchia, ovvero nel governo di a un’élite e nella “Demokratìa” ovvero nel potere gestito da un intero popolo, succube dei demagoghi. Ancora una volta gli insegnamenti degli antichi sono andati perduti.

Tra un paio di giorni gli italiani saranno chiamati ad esercitare il proprio diritto/dovere di voto, ma forse non tutti sanno che il modo di scegliere i propri rappresentanti è tutt’altro che democratico e ciò grazie alla legge elettorale oggi vigente. il cosiddetto “Porcellum” (e tra poco capiremo il perché di questo nome).

Il sistema attualmente in uso nel nostro Paese, entrato in vigore con la legge del 21 dicembre 2005, n. 270, prevede che in Italia si adoperi il cosiddetto “sistema proporzionale”. In pratica, agli elettori viene preclusa la possibilità di indicare la preferenza per uno o più candidati, i quali rimangono appannaggio delle segreterie di partito, o delle primarie interne, ammesso che si facciano e che le procedure siano trasparenti (e parlare di trasparenza quando si parla della politica italiana è a dir poco ridicolo).

Questo sistema, non a caso definito “proporzionale impuro”, si basa sul principio secondo il quale i seggi vengono assegnati non sulla base delle scelte degli elettori, come dovrebbe avvenire in una “democrazia rappresentativa”, ma dai singoli partiti, favorendo il raggruppamento di questi ultimi in coalizioni. Inoltre, la legge prevede alcune percentuali minime per la distribuzione dei seggi in Parlamento, denominate soglie di sbarramento, che differiscono a seconda del ramo parlamentare, della coalizione nella sua interezza, del partito coalizzato o, in alternativa, della lista in corsa solitaria.

In questo modo, oltre a violare la Costituzione e il principio di democrazia (non è un caso che sia in corso un ricorso presentato al TAR Lazio per l’abolizione di tale legge), si impedirebbe agli elettori di esprimere la propria opinione in Parlamento indipendentemente dalla propria scelta politica e si costringerebbero i vari partiti minori a effettuare raggruppamenti per favorire una coalizione o un’altra e consentirle di raggiungere la maggioranza.

Non solo. In questo sistema viene assegnato un peso diverso alle varie candidature, come se il ruolo che i singoli parlamentari fosse di peso diverso. Infatti, dato che la spartizione dei seggi avviene su base regionale potrebbe accadere che gli elettori delle Regioni più popolose avessero un “peso” maggiore degli altri all’atto dell’assegnazione dei seggi. E non basta, sulla base di questo sistema può avvenire che un candidato che riceve un numero di voti maggiore di un altro candidato, facente parte di un diverso schieramento, non venga eletto, violando in tal modo, ancora una volta, il diritto di chi lo ha scelto di essere rappresentato.

Inoltre, mentre la Camera viene sottoposta a una ripartizione dei seggi su base nazionale, il Senato, che risente dello spirito “federalista” del periodo in cui è stato varato il cosiddetto “Porcellum”, vede ripartiti i propri seggi sulla base dei voti ottenuti da partiti e coalizioni nelle singole regioni.

A questo si aggiunge che, a Palazzo Madama, sede del Senato, i seggi verranno ripartiti in modo tale per cui, chi otterrà la maggioranza in ogni regione, farà scattare il premio di maggioranza regionale, corrispondente a non meno del 55% dei seggi che essa attribuisce, con l’esclusione del Molise (2 seggi) e dei posti riservati agli eletti all’estero (6, di cui 2 in Europa, 2 in America del Sud, 1 in America del Nord, 1 per Africa, Asia e Oceania).

Anche alla Camera l’occupazione dei seggi avverrà facendo riferimento ai risultati: non a quelli regionali , ma a quelli nazionali, con il 55% dei seggi assegnati d’ufficio alla coalizione che raccoglierà il maggior numero di consensi, grazie al premio di maggioranza nazionale, con esclusione, anche qui, dei voti espressi all’estero (12 di cui 6 in Europa, 3 in America del Sud, 2 in America del nord, 1 in Asia, Africa, Oceania) e di quelli della Val d’Aosta (1 seggio).

Morale della favola? Si andrà a votare senza sapere chi realmente ci rappresenterà (ammesso che gli esemplari di HOMO POLITICUS vadano in Parlamento e che ci vadano per rappresentare gli elettori)… ammesso ovviamente che gli italiani vadano a votare…

Alla faccia della “cosa pubblica gestita dal popolo” (democrazia rappresentativa)!

 

 

 


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