Randagismo, tutti contro la proposta regionale: stop a sterilizzazioni e cani di quartiere. Il testo torna in commissione

Difficile che un disegno di legge riesca a scontentare allo stesso tempo maggioranza e opposizione. C’è riuscito quello che dovrebbe ridisegnare le leggi della tutela degli animali randagi in Sicilia. Dovrebbe, perché il testo, passato in sesta commissione all’Ars e pronto per approdare in Aula, è stato fortemente contestato a destra e a manca, tanto che Carmelo Pace, capogruppo della Democrazia cristiana, uno dei deputati firmatari del disegno, è stato quasi obbligato a cedere le armi e fare un passo indietro annunciando il ritorno in commissione, dove verrà modificato dopo aver interloquito con associazioni e garante dei diritti degli animali.

E se contro il ddl si erano schierati i deputati di opposizione del Movimento 5 stelle, che hanno definito la legge «un obbrobrio», più scalpore hanno fatto le prese di posizione di deputati del centrodestra, tra cui Marianna Caronia, di Noi Moderati, che non solo ha pronunciato la sua contrarietà nei confronti della legge, ma ha pure promesso battaglia in Aula. «Chiederò l’abrogazione totale di queste norme che rappresentano un grave passo indietro – dice – Sono previsti interventi che non solo violano la normativa nazionale ma comporteranno anche un significativo aggravio economico per i Comuni siciliani. È particolarmente grave che nessuna associazione sia stata consultata prima dell’approvazione. Il randagismo non si contrasta rinchiudendo gli animali nei canili a spese dei cittadini, ma con politiche di prevenzione efficaci».

In soldoni, il decreto stravolge del tutto la normativa vigente, che pure presenta tante lacune, ma anche molte garanzie, come la sterilizzazione gratuita per i gatti delle colonie da parte di istituti pubblici, come il canile comunale di Palermo, giusto per fare un esempio, che al suo interno ha il presidio Asp, per gli animali di strada; un servizio che sarebbe abolito, così come sarebbe vietato rimettere in strada una volta sterilizzati i cani di quartiere, quelli che da tempo presidiano aree cittadine, conosciuti da tutti e non pericolosi. Non solo, la norma favorirebbe, al fine di svuotare i canili, il passaggio degli animali presso strutture gestite da privati. Strutture già esistenti e ben finanziate, possibilmente, visto che il disegno vieterebbe anche l’assegnazione di beni immobili in comodato ad associazioni di volontariato per la creazione di nuovi rifugi. Associazioni che saranno inoltre estromesse dai canili pubblici: salterebbero infatti l’obbligo di un operatore ogni 80 animali e gli aiuti per le adozioni, che a oggi sono l’unico metodo efficace per svuotare i canili.

Una serie di mosse che poco hanno di politico, visto che andrebbero in contrasto, per esempio, con l’azione che con fatica sta tentando di mettere in campo il Comune di Palermo, che certo non è governato da una compagine di segno opposto rispetto alla maggioranza alla Regione. «Sono molto preoccupato – dice Fabrizio Ferrandelli, assessore al Benessere animale del Comune di Palermo – Ho già proposto di rivedere la legge dopo avere studiato il caso insieme a chi si occupa di randagismo: i veterinari delle Asp, le associazioni animaliste, gli operatori. Con questa legge i Comuni sarebbero obbligati al ricovero forzato in canile, cosa che sarebbe pesante anche dal punto di vista economico, dato che gestire un animale in struttura costa 4,5 euro al giorno e in strutture come quella del Comune di Palermo, che non ha randagismo, ma soffre la piaga dell’abbandono, si arriva a circa 1200 ingressi all’anno. Un cane, se non aggressivo e valutato positivamente dal servizio veterinario pubblico, ha bisogno di affetto, non di essere rinchiuso in una cella di pochi metri quadrati per il proprio ciclo di vita.

«Riusciamo a gestire questo flusso – conclude Ferrandelli – grazie alla collaborazione con le associazioni attraverso adozioni e staffette, con il trasferimento dell’animale alle famiglie adottive anche nel centro nord-Italia ottenendo due risultati: teniamo i conti sotto controllo e soprattutto favoriamo il rapporto di affettività uomo-animale». Levata di scudi arriva anche dall’Enpa, che ha parlato di «una legge che non garantisce la trasparenza e il controllo sulla qualità delle cure offerte, ma trasforma la gestione dei rifugi in un business che rischia di penalizzare il benessere degli animali a favore del profitto». Di Oipa e di tante altre associazioni animaliste nazionali.


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