Pippo Fava e la corona di fiori che divide Catania La figlia: «Il 5 gennaio non è giorno di passerelle»

«Quando c’era un certo tipo di consiglio comunale e con un sindaco al quale sicuramente non avremmo mai potuto neanche stringere la mano, a noi andava bene la loro assenza. Ma quelli erano anni in cui per il Comune Giuseppe Fava era solo una persona scomoda da non ricordare». Così Elena Fava, figlia del giornalista ucciso dalla mafia il 5 gennaio di 31 anni fa, racconta del rapporto con l’amministrazione etnea. Un commento che passa soprattutto da un momento, ormai da anni fonte di amarezza: la deposizione di una corona di fiori da parte del Comune a un orario diverso da quello scelto dalla famiglia e dai cittadini per ricordare il giornalista: il pomeriggio di ogni 5 gennaio, nella via dove Giuseppe Fava è stato ucciso e che oggi porta il suo nome.

Da un po’ di tempo, la corona di fiori del Comune di Catania rappresenta un mistero. Posta prima del consueto appuntamento pomeridiano, viene trovata già lì, portata da non si sa chi. Quest’anno, invece, l’amministrazione comunale ha avvisato giornalisti e cittadini con un comunicato stampa della presenza dell’assessore alla Legalità Rosario D’Agata – in rappresentanza del sindaco Enzo Bianco e della giunta – la mattina del 5 gennaio alle 10.30. Lo stesso giorno, ma mezza giornata in anticipo rispetto al resto di Catania. «Succede da due o tre anni che si scelga la mattina e non un momento unico. Quando mi hanno telefonato per avvertirmi, la mia risposta è stata che noi, famiglia e amici, siamo sempre andati alle 17 del pomeriggio – spiega Elena Fava -. Il sindaco, se vuole, viene alle 17, altrimenti la corona la depone lui da solo. Siamo stati senza mezzi termini, la nostra posizione rimane sempre quella: per noi l’unico momento è quello delle 17». Momento a cui era nuovamente presente l’assessore D’Agata: al mattino accompagnato dal collega alla Cultura Orazio Licandro e al pomeriggio dal titolare del Bilancio Giuseppe Girlando.

Una fermezza, quella della figlia del giornalista, che non vuole sia scambiata per polemica. «Adesso i tempi apparentemente sono cambiati, ma non so fino a che punto – continua – Un mese fa all’università è stata intitolata un’aula a tutte le vittime della mafia e questo mi sta benissimo. L’aula viene intitolata a Maria Falcone e mi sta altrettanto bene. Però si sono dimenticati di invitare la famiglia Fava. Noi ci siamo e abbiamo fatto una scelta precisa: la fondazione». Un’organizzazione che va oltre la data del 5 gennaio e del raccoglimento sotto la lapide. A cui Elena Fava tiene, ma di cui non si è mai accontentata. «Quello dev’essere un momento di riflessione e non di passerella. La gente che c’era ieri sera ha sfidato il freddo ed è venuta perché voleva ricordare a modo proprio Giuseppe Fava – conclude la figlia – La passerella con i consiglieri che l’attimo dopo girano l’angolo e si sono scordati, invece, non mi sta bene».


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