Pietraperzia, l’omicidio Marchì pianificato nei dettagli Sopralluoghi e pedinamenti per uccidere il rivenditore

«Lo ha azzeccato preciso. Erano due le pecore…tre…». Parlano di pecore Gaetano Curatolo e Vincenzo Di Calogero, entrambi arrestati nell’ambito dell’operazione Kaulonia della Dda di Caltanissetta ma per gli inquirenti, nella conversazione intercettata il 18 luglio del 2017, è chiaro il riferimento all’omicidio di Filippo Marchì avvenuto due giorni prima in contrada Friddani nelle campagne di Piazza Armerina, in provincia di Enna. Tra le 21 persone arrestate ci sono Giovanni Monachino, Vincenzo Monachino, Gaetano Curatolo, Calogero Bonfirraro, Vincenzo Di Calogero e Angelo Di Dio ritenuti, a vario titolo, componenti del gruppo che ha organizzato e realizzato l’omicidio Marchì «con le aggravanti di avere agito con premeditazione, al fine di agevolare Cosa nostra di cui gli stessi fanno parte e avvalendosi delle condizioni di assoggettamento e omertà scaturenti dal vincolo associativo».

Nelle quasi seicento pagine di ordinanza firmata dal gip
David Salvucci c’è una parte dedicata alla ricostruzione del delitto del 50enne, rivenditore di auto usate e appassionato di cavalli che, in passato, era stato autista del boss Salvatore Saitta. I due fratelli Monachino, ritenuti storicamente al vertice della famiglia mafiosa di Pietraperzia, sono stati individuati come i mandanti dell’omicidio rimasto ancora senza un movente chiaro. Per il giudice il delitto sarebbe maturato in dinamiche di contrasti tra gruppi opposti di Cosa nostra nei territori di Barrafranca e Pietraperzia. La vittima, pur non avendo precedenti penali per associazione di tipo mafioso o reati connessi, stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, «non era estraneo a tale ambiente». Un delitto organizzato «con modalità professionali»: una serie di riunioni organizzate nell’ovile di Di Calogero per una pianificazione curata in tutte le sue fasi da Curatolo, Bonfirraro e Di Dio. Questi ultimi avrebbero svolto anche dei sopralluoghi e un meticoloso studio delle abitudini della vittima durato più di un mese. A fare parte del gruppo di fuoco sarebbero stati Bonfirraro e Di Dio insieme ad altri soggetti non identificati. 

Sei colpi di arma da fuoco sparati da due armi diverse (un fucile calibro 12 e una pistola calibro 7.65) colpiscono all’addome e al volto Marchì una domenica mattina intorno alle 6.30, mentre è intento a lavare una macchina nel magazzino accanto alla sua abitazione. Stando a quanto ricostruito, la vittima è stata colta di sorpresa: a causa del rumore dell’idro-pulitrice che stava usando, non avrebbe sentito arrivare gli assalitori; a impedirgli di vedere sarebbe stato, invece, il cofano del motore aperto. Un’azione pianificata nei minimi dettagli con un sopralluogo effettuato esattamente una settimana prima dell’omicidio (il 9 luglio) nella stessa fascia oraria e seguito da una riunione nell’ovile di Di Calogero nelle campagne di Pietraperzia. Dalle indagini emerge anche che le stesse modalità organizzative sarebbero state utilizzate per la programmazione di un’altra azione criminosa che, però, non viene realizzata.

Sopralluoghi nell’appezzamento di terreno in cui compiere l’omicidio e un mese di studio delle abitudini della vittima indicata nelle intercettazioni come «u crastu» o «il pastore» che dalla moglie e da un suo collaboratore viene definito una «persona abitudinaria». La maniacalità nell’organizzazione del delitto emerge anche dall’utilizzo di un linguaggio criptico per il timore di essere intercettati. «Per telefono non devi parlare! Noi parliamo sempre di pecore, di agnelli, di cavalli, di giumente […] e capiamo tutte cose – dice Curatolo durante una telefonata intercettata – Lo sai cosa fanno? Loro ascoltano le telefonate, se c’è quella che a loro interessa se la tengono. Ma questo niente, questo parla sempre di erba e di pecore. Se invece c’è quello che parla, loro ti mettono qualcosa in macchina per vedere». 


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