Piero Grasso ricorda Falcone: “Mai smettere di cercare la verità”

NEW YORK

Pietro Grasso, il magistrato a capo dell’antimafia in Italia, lo incontriamo al Palazzo di Vetro dell’ONU, dove si trovava mercoledì per partecipare a un dibattito organizzato dall’Italia sulla criminalità organizzata in Centro America, conferenza in cui ha preso parte anche il Ministro della Giustizia, Paola Severino, il Segretario Generale, Ban Ki-moon, il Presidente dell’Assemblea Generale, Nassir Abdulaziz Al-Nasser e a tanti altri ministri di Paesi centro americani. A moderare il dibattito Sebastian Rotella, il giornalista d’inchiesta di Propublica.org che si è occupato di criminalità organizzata in Centro America. Ovviamente la conferenza è anche una occasione per ricordare, a ventanni dalla strage di Capaci, la figura di Giovanni Falcone, del quale al Palazzo di Vetro mercoledì è stata celebrata la preziosa eredità del metodo di indagine utilizzato dal magistrato ucciso dalla mafia a Palermo con la moglie e gli uomini di scorta il 23 maggio del 1992.

Grasso lo ha detto alla conferenza e poi lo ha ripetuto ai giornalisti che, oggi, la sfida sul piano nazionale e internazionale è quella di combattere un nemico in continuo mutamento, una mafia degli affari in evoluzione e camaleontica che, per stare al passo con i tempi, si riesce a mimetizzare all’ombra della società civile e a infiltrare negli ambienti imprenditoriali.

“Non farei una distinzione tra vecchia e nuova mafia – dice Grasso alla brava collega dell’Ansa Valeria Robecco che gli pone delle domande prima della nostra intervista -. I fini sono sempre gli stessi, ma la criminalità organizzata ha la capacità di adattarsi a tutti i cambiamenti sociali ed economici, e quindi ai mercati. In questo senso oggi è una mafia degli affari”.

Grasso è venuto a New York perché accade che, dopo anni di stragi e collusioni, oggi sembra che l’Italia possa insegnare al mondo come si combatte la mafia

“In Italia – dice Grasso – abbiamo in un certo senso provocato il veleno, trovato l’antidoto attraverso una serie di misure che tutto il mondo ci invidia e che sono state frutto di un lavoro continuo anche sul sangue dei nostri martiri. Non sono solo Falcone e Borsellino, ma i 12 giudici uccisi nella Sicilia occidentale e tutte le altre persone, imprenditori, politici, giornalisti e anche cittadini innocenti”.

Un sistema costruito già ai tempi di Falcone, ma che per Grasso ha bisogno di essere perfezionato: “Per esempio con norme sull’antiriciclaggio o sul voto di scambio politico-mafioso, sulla corruzione, sull’evasione fiscale, sulla reintroduzione del falso in bilancio: leggi che servono a darci gli strumenti per meglio incidere sulle organizzazioni criminali”.

“C’è tanto ancora da fare – sottolinea Grasso -. Falcone lo diceva molti anni fa: segui il denaro per trovare la mafia”.

La soluzione quindi è cercare i soldi, ma il problema è trovarli: e questo è un problema transnazionale, perché i reati vengono commessi in più Paesi e coinvolgono più Paesi. Sul piano internazionale evidentemente non si può solo arrivare ad una serie di intese, ma serve una legislazione interna ad ogni Paese. I proventi della malavita vengono riciclati in Stati franchi nei quali si nascondono i mafiosi latitanti o i soldi sporchi che poi vengono riciclati.

“Abbiamo bisogno di norme omogenee e di ottenere una forma di cooperazione internazionale, in maniera tale da poter agire e seguire la criminalità organizzata in tutte le sue manifestazioni anche all’estero”, spiega Grasso, sottolineando che oggi la mafia cerca di effettuare i traffici in Paesi poveri e con una democrazia debole, perché con il potere economico ha poi il progetto di condizionare anche il potere politico.

“L’Onu da questo punto di vista ha uno strumento importantissimo che è la convenzione di Palermo del 2000, voluta proprio da Falcone”, ribadisce il Procuratore rispondendo alle domande della collega che ci precede nell’intervista.

Ma non basta che le varie Nazioni firmino e ratifichino il documento se poi nella loro legislazione interna non approvano norme che possano consentire reciprocità nella cooperazione.

“Il nostro scopo – dice- è far applicare nel mondo la Convenzione di Palermo, che contiene già tutti quegli elementi che noi utilizziamo nella repressione del fenomeno mafioso”.

Tocca ad America Oggi. Abbiamo poco tempo, il procuratore deve correre all’aereoporto. Eppure si ricorda bene di noi, Grasso. Tre anni fa, in occasione della conferenza al John Jay College sul centenario dell’assassinio di Joe Petrosino, lo avevamo intervistato e in quell’occasione ci aveva rilasciato dichiarazioni forti. Avevamo titolato l’intervista “La mafia per conto d’altri”. Così ci aveva detto Grasso nell’ottobre del 2009 a New York sul perché morì Falcone: “Ci sono questi tre moventi complessi. Il primo è per quello che aveva fatto. Il secondo per quello che poteva fare. E poi per l’effetto destabilizzante che non era proprio l’interesse di ‘cosa nostra’, ma di qualche altra entità…”.

Grasso oggi ha pubblicato un nuovo volume, che ha presentato recentemente al salone del Libro di Torino. Si intitola “Liberi Tutti” (Spelign & Kupfer), e il cui titolo riprende il famoso grido liberatorio nel gioco del ‘nascondino’.

“Chi interviene alla fine del gioco dice ‘Liberi tutti’ – ha detto Grasso a Torino- proiettandosi sul gruppo in un atto di condivisione che mi è sempre piaciuto”.

Ed ecco in quell’occasione un’altra dichiarazione decisa: “A chi mi chiede quale legge vorrei venisse promulgata dico una legge che vieti a chi fa politica di fare affari”.

In quell’occasione, parlando di lotta alla mafia, Grasso aveva detto di trarre sempre una grande forza personale negli incontri con i giovani: “Ho bisogno del vostro sogno giovanile di cambiamento, dell’antimafia della speranza per completare il mio lavoro di antimafia basata sulla repressione del crimine mafioso che da solo non basta più”.

“I giovani – aveva aggiunto – sono ingenui, gli anziani più cinici, oggi c’è bisogno di una rivolta culturale, non possiamo più permetterci eroi, abbiamo bisogno di un movimento di massa, nella consapevolezza che la mafia non è solo quella che uccide, ma è un modo di essere. Bisogna partire dal basso e capire che chiedere favori, privilegi, evadere le tasse, rivendere gli appalti, svuotare le casse pubbliche, significa dare le basi alla mafia. Occorre una vera educazione alla legalità”.

“In Italia c’è una grande crisi di legalità – aveva detto sempre a Torino Grasso -: auspico un potere politico che non cerchi solo il consenso, soprattutto al momento del voto, ma che si occupi del bene comune. Ci sono ancora troppi sprechi di denaro pubblico, si pensi alle tante opere mai concluse. Quando ci chiedono sacrifici dovrebbero saper contrastare gli sprechi. C’è ancora un pericoloso parallelismo tra la politica deteriore, spesso locale, e la mafia”.

Ad ogni suo intervento, Grasso ricorda che i suoi punti di riferimento sono ancora Falcone e Borsellino “perché hanno fatto tutto fino alla fine con la consapevolezza di rischiare la vita. Per non deludere me e tutti voi”.

Tocca a noi far le domande e chiediamo a Grasso se lui era la persona più adatta a ricordare la figura di Giovanni Falcone qui a New York a vent’anni dalla morte, dato che forse non c’era una persona in Italia che è stata così vicina nel lavoro con Falcone…

“Beh, certamente c’è la sua famiglia, ma sul piano professionale non c’è dubbio che abbiamo vissuto tanti momenti insieme. Un momento particolare è stato il maxi processo contro la mafia che si è svolto a Palermo dal 1986 al 1988. Processo che era la prosecuzione delle indagine fatte dal pool antimafia di Falcone, Borsellino e degli altri magistrati, e che ha confermato la bontà del metodo Falcone. Il metodo Falcone è quello di ripercorrere tutti i dieci anni dei delitti di mafia, l’ultimo periodo antecedente al 1984, di trovare i riscontri anche attraverso le indagini bancarie, e di cercare di mettere insieme tutte le dichiarazioni dei collaboratori di Giustizia, primo fra tutti Tommaso Buscetta che è stato quello che ha per primo svelato i segreti di ‘cosa nostra’, la sua struttura verticistica, e soprattuto le relazioni esterne della stessa ‘cosa nostra”.

Ecco che Grasso ci spiega che i mafiosi da soli non riuscirebbero mai a rendere la mafia così potente, ha bisogno sempre di relazioni con “gli amici degli amici”…

“Cioè con quell’area che chiamamiamo area grigia, fatta da imprenditori, da professionisti, tecnici, commercialisti, amministratori pubblici anche politici, che poi è la vera forza della mafia. Quelli che riescono a far realizzare a persone che non hanno cultura, non hanno studi, degli obiettivi importanti, sotto il profilo degli interventi nell’inprenditoria, negli investimenti produttivi, facendogli realizzare dei grandi successi”.

Quindi ecco che Grasso ci spiega perché il metodo di indagine di Falcone è ancora oggi valido.

“Il metodo è quello di fare operare insieme magistrati specializzati e anche strutture di polizia specializzate e centralizzate che riescono a mettere insieme tutti quegli indizi che poi costituiscono le prove contro la mafia. Sappiamo bene che una indagine contro la mafia non ha testimoni, non ha documenti e quindi non può trovare quelle prove che consentano ai giudici di condannare. Ecco perché sono necessari per la lotta alla mafia i collaboratori di giustizia che vengono dalla stessa criminalità e svelano i segreti dell’organizzazione e che possano far scoprire i progetti criminali passati e futuri, e far scoprire i traffici di stupefacenti, e i depositi di armi ed esplosivi e prevenire anche stragi come è avvenuto in passato. E l’altro elemento sono le intercettazioni telefoniche le intercettazioni ambientali anche queste dall’interno, mettendo le microspie nei posti giusti dove si riuniscono mafiosi, si riesce ad avere appunto una rappresentazione una documentazione delle attività dei mafiosi e dei loro progetti criminali”.

La mafia, ci spiega Grasso, toglie libertà ai cittadini creando dei sudditi:

“L’associazione già di per sé, anche senza aver commesso ancora dei reati, è di una pericolosità estrema per la società perché ha dei fini assolutamente criminali che vanno sempre contro la libertà, la democrazia e la giustizia. Perché la mafia è collusione, è corruzione, è violenza, è intimidazione, è anche sangue, lutti, morte. Tutto questo patrimonio di intimidazione e di violenza viene usato per colpire le persone che poi vengono soggette, diventano sudditi della mafia, e quindi non riescono più ad esercitare appieno la loro libertà”.

Ed ecco come la mafia produce “ricchezza” per sé e perpetua sottosviluppo per la società.

“Questo avviene con il fenomeno del pizzo, dell’estorsione, del racket, oppure dell’usura, l’inserimento della mafia negli appalti pubblici e quindi un modo per appropriarsi dei finanziamenti dello Stato, dei soldi dei cittadini, oppure altre attività preminenti che sono quelle nell’ambito del riciclaggio per cui i proventi illeciti vengono reinvestiti. E oggi in un momento di crisi economica, in un momento di crisi di liquidità delle banche con chi ti prospetta finanziamenti con danaro a costo zero perché viene dall’illecito si inquina tutto il mercato economico mondiale e piano piano i mafiosi riescono a conquistare anche un posto nell’impresa apparentemente legale, espropriandola agli stessi proprietari e alle stesse società che ne hanno il controllo attraverso questi inserimenti di capitali e aumenti di capitali: in questo modo, poi, si appropriano delle società”.

Già, con la mafia circola un’enorme quantità di denaro, e provate ad immaginare in che percentuale per l’Italia? Sentite che ci dice Grasso: “Questo è un processo molto pericoloso, in questi periodi bisognerebbe aumentare i controlli sotto il profilo del riciclaggio e cercare di prevenire questo fenomeno che ha una portata mondiale e che viene stimato in Italia, dalla Banca d’Italia, in 150 miliardi di euro l’anno. Cioè il 10% del Pil dell’Italia. Se si aggiunge a questa somma quella di 50-60 miliardi di euro che è il costo della corruzione in Italia secondo Transparency International , un instituto abbastanza accreditato di ricerca, e poi ci si aggiunge quello che sono i profitti della crimininalità organizzata si arriva a delle cifre che fanno vedere come un terzo dell’economia italiana è sommersa, cioè sfugge a qualsiasi imposizione fiscale e va spesso verso l’estero… Ecco il motivo per cui abbiamo bisogno della massima cooperazione da parte degli Stati dove si vanno a rifugiare questi capitali”.

Interessi enormi. Ma ora ricordiamo a Grasso di quando nell’ottobre del 2009, in una intervista sempre qui a New York, ci disse che Falcone e Borsellino erano morti anche per quello che ancora avrebbero potuto fare. Ecco, cosa avrebbero potuto fare i due magistrati uccisi e che non è stato ancora fatto contro la mafia?

“Intanto, devo dire che si è continuato sulla loro strada. Sono morti perché erano considerati entrambi nemici di ‘cosa nostra’, avevano portato al carcere a vita dei capi mafiosi con le loro indagini, e quindi è chiaro che c’è un intento, una causale vendicativa e una causale che cercava di evitare che continuassero quell’azione nei confronti dell’organizzazione. Devo dire però che la loro morte non è stata vana, dalla loro morte è nata un’azione continua di magistratura e forze di polizia che non è mai cessata sotto il profilo della repressione. E quindi dobbiamo dare atto che sotto questo profilo noi continueremo, non molleremo mai. Anche perché chi ha negli occhi le immagini della strage di Capaci, della voragine che ha trasformato l’asfalto grigio in terra rossa di sangue, che ha visto sbalzare a centinaia di metri di distanza l’auto della scorta, chi ha visto il Palazzo di via d’Amelio bombardato come se fosse un palazzo di Sarjevo, dall’auto bomba esplosa con i brandelli di carne umana sui balconi dei piani alti, chi ha visto queste cose non potrà mai mollare, non potrà mai cessare di continuare a combattere la mafia finché avrà un soffio di vita”.

Grasso ha ripetuto recentemente in Italia quello che ci aveva detto a New York tre anni fa. Ha detto che sia Falcone che Borsellino sono morti anche per “finalità terroristiche non tanto eversive quanto conservative per bloccare le spinte che arrivavano dall’inchiesta di Tangentopoli che aveva scardinato il quadro politico nazionale”. Lì ci sono anche le ragioni per la loro morte, per gli interessi che stavano toccando. Ma perché le indagini non proseguirono fino in fondo nel seguire quella pista? E certe verità possono ancora essere trovate o dopo vent’anni è ormai scaduto il tempo per la verità? Grasso ripete che non mollerà mai: “Io ho avuto il privilegio di sentire per primo il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza che ha dato una diversa versione sulla strage di via d’Amelio. Il problema che noi affrontiamo è che non bisogna mai fermarsi di fronte alla verità che sembra definitiva, anche con sentenza, anche una verità costituita. Perché bisogna cercarla sino in fondo. Noi magistratura e forze di polizia non ci quietiamo mai di fronte alla verità processuale, o almeno a quella che sembra una verità processuale. Quindi continuiamo e continueremo sempre. Non possiamo dire che ancora tutto è chiarito, però si sono fatti dei notevoli passi avanti e speriamo di continuarne a fare”.

Ma c’è ancora tempo per la verità?

“Guardi, la mafia non ha tempo e neanche noi dobbiamo averne”.

Del metodo Falcone non bisognerebbe dimenticare anche che contro la mafia Falcone non faceva politica. Falcone non solo non era schierato, ma nel suo lavoro non lo appariva mai. Falcone era un magistrato, così come lo era Borsellino. Ma chi segue anche in questo il metodo Falcone? È credibile la giustizia in Italia quando da l’impressione di essere politicizzata?

“Certamente il magistrato non solo deve essere autonomo e indipendente, ma deve anche apparire autonomo e indipendente. Anche se devo dire che nella vita ci sono calunniatori o strumentalizzatori che ti tirano la giacca da un lato e dall’altro. Falcone è stato definito dapprima comunista, poi andreottiano, poi socialista quando è andato al Ministero con il ministro Martelli. Il vero fatto è che Falcone aveva un suo obiettivo, aveva una sua strategia, una sua visione di come condurre la lotta alla mafia. E chiunque gli potesse dare una mano per realizzare questo obiettivo l’accettava. Così pure Borsellino. Ecco, noi non dobbiamo perdere di vista l’obiettivo e dobbiamo sempre continuare indipendentemente da quelle che sono queste tirate di giacca da una parte o dall’altra e insistere nel seguire la ricerca della verità, della giustizia e della libertà dei cittadini per liberarli dalla oppressione della mafia”.

Grasso deve andare via. L’intervista è finita. Avremmo ancora molto da chiedergli su Falcone. Ci ricordiamo di una sua dichiarazione letta su una agenzia che riportava della presentazione del suo libro “Liberi Tutti”, dichiarazione fatta da Grasso ai giovani intervenuti a Torino. Il Procuratore nazionale antimafia aveva mostrato ai ragazzi l’accendino che gli diede Falcone poco prima di morire dicendogli che glielo avrebbe richiesto se avesse ripreso a fumare: “Lo tengo sempre in tasca, lo tocco quando ho bisogno di sentirlo vicino”.

Già, sentirlo vicino, magari quando ti senti isolato dai tuoi colleghi perché hai espresso un’opinione “non politically correct”. Ecco che allora anche l’accendino di Falcone può farti coraggio.

Questa intervista esce contemporaneamente su Oggi 7-America Oggi

 

Stefano Vaccara

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