Il tecnico ennese della Bonatti, sequestrato l'estate scorsa in Libia, è stato accolto da amici e parenti. Tanta commozione e stanchezza: «È stata una brutta esperienza». Il figlio: «Desidera sentire i familiari delle vittime, ma adesso è provato». Gli abitanti: «Cosa si è costretti a fare per mantenere la famiglia». Guarda le foto
Piazza Armerina, Filippo Calcagno ritorna a casa «Morte di Failla e Piano? L’ho saputo soltanto ieri»
È arrivato intorno alle 23 circa di ieri sera, nella sua casa in contrada Colla-Scarante, a Piazza Armerina, Filippo Calcagno, il tecnico della Bonatti sequestrato per otto mesi in Libia. Ad accoglierlo c’erano amici e parenti. Molto dimagrito, debilitato, il volto scavato dalla sofferenza. Avanza verso i giornalisti sostenuto dal cognato. «Sono sfinito», queste le sue prime parole. «È stata una brutta esperienza – continua – sono felicissimo di esser tornato a casa, ma sapete che due colleghi non ce l’hanno fatta. È un dolore atroce, lo abbiamo saputo stamattina». Poche frasi rotte dalla commozione per Salvatore Failla e Fausto Piano, uccisi in un conflitto a fuoco giovedì scorso nei pressi di Sabrata.
«Mio padre – interviene il figlio Gianluca – desidera sentire i familiari delle vittime, ma in questo momento è molto provato sia fisicamente che emotivamente. È bene che abbia un po’ di tempo per riprendersi. Ha perso parecchi chili. Non vogliamo forzarlo. Sarà lui a raccontarci ciò che si sentirà di dire. Indubbiamente non hanno passato un bel periodo».
Da ieri pomeriggio, gli abitanti della piccola località dell’entroterra siciliano attendono il ritorno del loro concittadino.«Siamo contenti che ritorni a casa sano e salvo. La famiglia Calcagno merita un po’ di serenità dopo tanti mesi difficili», dichiara un gruppo di cittadini che lo hanno atteso nella piazza del paese. «Conosco Filippo fin da ragazzo, siamo quasi coetanei – dichiara uno di loro -. Abitavamo nello stesso quartiere, eravamo amici. Poi, però, abbiamo intrapreso strade diverse. Lui ha lavorato come tecnico Eni a Gela per un paio d’anni, e dopo il licenziamento ha iniziato a lavorare con la Bonatti. Oggi, sono felice per la sua liberazione».
«A famigghia sara campar» commenta in dialetto un altro, che poi, soffermandosi sul lavoro di Calcagno e su ciò che in questi mesi è stato costretto a vivere, aggiunge: «Cosa si è costretti a fare per mantenere la famiglia. Accettare tanti rischi e lavorare, persino, in zone pericolose». Non manca una punta di polemica nei confronti della ditta parmigiana: «Non capisco perché la Bonatti non abbia fatto rientrare tutti i suoi dipendenti in Libia, dopo la morte di Gheddafi. È una situazione che va chiarita», conclude.