«Piazza Alimonda, troppi punti oscuri»

«Sono qui stasera per continuare la mia opera, e per fortuna non solo mia: quella di far conoscere alla gente cosa sia realmente accaduto durante il G8 organizzato a Genova nel luglio 2001. Anche perché non si vuole istituire una commissione parlamentare d’inchiesta che faccia luce sulle tante ombre esistenti; e perché su alcuni dei fatti accaduti in piazza Alimonda non è stata aperta nessuna inchiesta in tribunale. Voglio precisare che le immagini e le foto che porto in giro, per l’Italia e non solo, ci sono state date dal tribunale di Genova dopo aver archiviato l’inchiesta sul G8. Sono tutte documentazioni pubbliche, quindi».

Queste le parole di Giuliano Giuliani, il padre di Carlo, il ragazzo morto durante il tragico G8 di Genova del 2001, che è intervenuto sabato pomeriggio, all’auditorium dei Benedettini, all’incontro “Quale verità per piazza Alimonda? Genova sei anni dopo”. Incontro al quale, tra gli altri, ha partecipato anche Nunzio Famoso, preside della facoltà di Lingue.

Alla presenza di un centinaio di persone, forse poco più, è stato proiettato il video “Quale verità per piazza Alimonda?”; e sono state mostrare le foto di quei giorni, illustrate nei particolari da Giuliani. Foto da cui, secondo il padre di Carlo, «emergono cose strane». Ad esempio? «Ci sono delle persone vestite in modo strano in posa coi poliziotti; sembrano proprio dei black block. Saranno dei poliziotti anche loro?». E ancora: «Tra le forze armate presenti c’erano dei problemi. Una foto è abbastanza esplicativa: si vede bene che da una parte c’è il corpo di Carlo a terra, e dall’altra un poliziotto e un carabiniere che si prendono a manganellate. Staranno litigando per problemi personali o per problemi di ordine pubblico? Avranno idee divergenti su come operare?». Le anomalie, secondo Giuliani, non si fermano qui. «Si è tanto parlato dell’aggressione dei manifestanti nei confronti delle forze dell’ordine con oggetti impropri; ma a tal proposito, dal video e soprattutto dalle foto, si nota che polizia e carabinieri avevano oggetti non autorizzati e hanno usato impropriamente alcuni strumenti in dotazione. Parlo di cariche effettuate coi blindati a 60 all’ora, dell’utilizzo di mazze di ferro invece che dei manganelli in dotazione di lanci di pietre, ma anche dell’uso di molotov».

Durante l’incontro di sabato pomeriggio, naturalmente, si è parlato molto di ciò che è successo a Carlo Giuliani. Suo padre ha contestato ancora una volta la tesi del sasso (in realtà un calcinaccio), lanciato sulla camionetta dei carabinieri ferma in piazza Alimonda, che avrebbe deviato la traiettoria iniziale (diretta verso l’alto) del proiettile sparato dal carabiniere Mario Placanica provocando la morte del ragazzo. «È bastato un ingrandimento delle foto e dei video – ha detto Giuliani – per vedere la pistola perfettamente diritta durante lo sparo e dunque smentire questa tesi assurda». Giuliani, inoltre, ha insistito sulla “premeditazione”: non da parte del carabiniere che ha sparato, ma da parte di chi ha gestito la sicurezza in quei giorni. «Forse la definizione “forze dell’ordine” non è esatta per quello che è successo a Genova durante quel G8», ha affermato. «Forse la definizione più giusta sarebbe “forze del disordine programmato”, perché è stato permesso ai black block, tra i quali c’erano anche degli infiltrati della polizia e dei carabinieri, di distruggere Genova per giustificare una violenza già programmata nei confronti di chi violento non era. E tutti sappiamo che le strategie di sicurezza non vengono decise dal basso, ma dall’alto».

Il punto di vista di Giuliani sulla gestione complessiva del G8 è noto da tempo. Ma se ne torna a discutere, in questi giorni, da parte di chi sostiene la necessità di una commissione parlamentare d’inchiesta sui fatti di Genova. Una commissione che, senza interferire con le inchieste della magistratura, provi a ricostruire tutti quei fatti che vanno spesso al di là delle singole responsabilità penali e non possono essere oggetto di accertamento giudiziario. In questa direzione è andato anche l’incontro di sabato scorso, cui hanno partecipato Anna Bucca (presidente dell’Arci) Sicilia, Orazio Licandro del PdCI e Riccardo Messina della Fgci (forze politiche che chiedono la commissione d’inchiesta) e lo stesso preside Famoso. «Credo che le immagini siano più esplicative delle parole – ha detto quest’ultimo – e questa è una denuncia che serve a rafforzare la nostra democrazia. La violenza che ha caratterizzato quei giorni, una ferocia che non vedevamo da tempo non può essere qualcosa nata per caso, ma il frutto di un disegno. Una commissione d’inchiesta parlamentare, oltre ad avere un valore in sé di accertamento della verità, farebbe fare un passo avanti alla democrazia italiana».

 

Link utili:
“Ho parlato con il capo devo fare marcia indietro” (da Repubblica.it)


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