«Entra tranquillamente ad Augusta, un gasolio di provenienza… chi sa chi. Assurdo, poi se ne va a Venezia, a Civitavecchia, cioè questi hanno monopolizzato il mercato. Basterebbe andare a controllare le tracce e vedono che quelle navi non sono mai andate nei posti di origine del gasolio». A parlare al telefono con un collega è l’amministratore delegato di una società di commercio di petrolio con sede a Roma e Catania. Entrambi indagati nell’inchiesta Dirty Oil, in qualche modo vittime consapevoli del sistema criminale che la Guardia di finanza di Catania ha scoperto e che gestiva il traffico di greggio tra la Libia, l’Italia e il resto d’Europa. Un business di contrabbando che ha portato migliaia di metri cubi di carburante di pessima qualità dalla raffineria libica di Zawyia ai distributori di benzina siciliani, e non solo.
Figure cardine sono il libico Ben Khalifa e l’italiano Marco Porta, accusati di essere promotori e organizzatori dell’associazione a delinquere. Il primo è un miliziano, già in carcere sotto il regime di Gheddafi per traffico di droga, che dopo la caduta del colonnello è diventato uno dei ras nel traffico di petrolio, esseri umani e droga, a capo di gruppi armati nella zona a ovest di Tripoli, non lontanto dal confine con la Tunisia, proprio quella dove sorge la raffineria di Zawyia. Il secondo, Porta, è l’aministratore delegato di una delle più grandi società di commercio di prodotti petroliferi, la Maxcom Bunker, proprietaria di depositi fiscali di gasolio ad Augusta, Venezia e Civitavecchia. Lì dove, secondo la Procura di Catania, sarebbe finito il petrolio di contrabbando.
Il viaggio dell’oro nero parte dalla raffineria libica dove Khalifa – grazie alla protezione delle sue milizie armate e ai legami con alcuni funzionari dell’ente governativo titolare del monopolio sulla produzione, commercializzazione ed esportazione del greggio e di prodotti petroliferi (la N.O.C. – National Oil Company) – si procura il prodotto proveniente dalla raffineria e lo trasporta sino al porto di Abu Kammash. Qui il gasolio viene caricato a bordo delle navi utilizzate dal gruppo criminale tramite numerosi pescherecci e piccole imbarcazioni appositamente modificate. La trasformazione da prodotto di contrabbando a prodotto in regola avviene a largo di Malta con trasferimenti del gasolio dalle imbarcazioni di Khalifa a quelle gestite dalla componente maltese – ne fanno parte il catanese Nicola Orazio Romeo, secondo alcuni pentiti vicino al clan dei Santapaola-Ercolano, e i maltesi Darren Debono e Gordon Debono – a cui spetta il compito di falsificare i documenti sull’origine della merce.
Per la prima volta, il Gico della Guardia di finanza, è riuscito a intercettare i telefoni satellitari grazie a una nuova metodologia sperimentale, ricostruendo conversazioni e movimenti di questi passaggi preliminari all’arrivo ad Augusta, dove il petrolio di contrabbando viene mischiato con quello regolare. Il risultato è la vendita sul mercato di un prodotto di bassa qualità e a prezzi decisamente più bassi rispetto alla concorrenza.
«Hanno creato questa forma di cartello del contrabbando – spiega l’imprenditore indagato, acquirente dalla Maxcom, al suo interlocutore -, io responsabilità non ne voglio avere, non è che posso fare il Don Chisciotte solitario. Alla fine io sto comprando prodotto fisso, cioè già nazionalizzato in deposito fiscale qui in Italia». I due sembrano consapevoli anche delle conseguenze negative per gli utenti che alla fine compreranno il gasolio nei distributori. «Speriamo bene – continua – che dentro il deposito Maxcom entra un prodotto e ne esce un altro, il motivo per cui io ho lavorato di meno con la Maxcom è perchè il prodotto che hanno loro è una porcata!».
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