Pesce, solfiti e additivi per farlo sembrare fresco La nuova frode alimentare e i ricoveri in ospedale

Due pescatori diversi, in due occasioni separate, finiscono al Pronto soccorso del Vittorio Emanuele di Catania spiegando ai medici di essere entrati in contatto con una sostanza che – sostengono – viene utilizzata per mascherare la freschezza del pesce. Il primo, arriva nei locali del reparto d’urgenza per una forte intossicazione, dichiarando di avere ingerito accidentalmente un liquido che, essendo incolore e contenuto dentro a una bottiglietta, l’uomo aveva scambiato per acqua. Per identificare l’agente tossico, vista la forte reticenza del paziente nell’ammetterne la natura, il personale di guardia ha chiesto l’intervento del Centro veleni. Il secondo, invece, presenta delle lacerazioni nella pianta dei piedi. Un prodotto che viene usato «’ppo coluri re pisci», racconta ai sanitari, gli ha corroso gli stivali da lavoro, fino bruciargli lievemente gli arti inferiori. 

A prescindere dall’entità di entrambi i danni fisici denunciati, gli episodi rivelano un problema che – nonostante la discussione informale – punta i riflettori su un fenomeno prima di oggi più o meno sconosciuto, quantomeno nell’area etnea: quello della sofisticazione del pesce fresco. Che, al pari della carne, viene trattato da un lato con sostanze legali in modo improprio, dall’altro con prodotti vietati dalle normative europee, provocando – in egual misura – potenziali pericoli per la salute di chi lo mangia. Come risulta da alcuni studi, dalla testimonianza degli ufficiali che si occupano di frodi alimentari, e dal racconto di alcuni pescatori che hanno deciso di parlare, le sostanze in questione potrebbero essere principalmente di due tipi. Da una parte il Cafodos  un additivo che viene mescolato con il ghiaccio e consente di dare freschezza apparente al pescato – dall’altra i solfiti. Particolarmente dannosi per la salute, soprattutto per chi è allergico

«Il Cafodos – spiega Alessandro Giuffrida, ordinario del dipartimento di Scienze veterinarie dell’università di Messina – è un prodotto utilizzato in Spagna, una sostanza al limite della legalità, che è fondamentalmente una miscela di acidi organici e acqua ossigenata, perossido di idrogeno. Quest’ultimo – continua lo specialista – ha un’attività antimicrobica, è un disinfettate. A cui si aggiunge anche l’acido citrico e quello ascorbico che sono antiossidanti». Il naturale deperimento della carne del pesce è dovuto all’azione dei batteri quindi, come illustra il veterinario, «riducendo la carica batterica il prodotto è chiaramente più conservabile. L’antiossidante inoltre ha un’attività sui pigmenti che li mantengono più vivi per più tempo». Insomma, chiarisce, «una triglia che si mantiene rossa è sicuramente più appetibile». La sostanza potrebbe essere la stessa descritta da un pescatore che, preferendo restare anonimo, ha parlato – forse impropriamente – di «un colorante che viene buttato sul pesce spada per farlo sembrare più chiaro e più vivo».  

Mascherare lo stato di freschezza del pesce, soprattutto se quest’ultimo è quasi marcio, è chiaramente una frode. «Se io prendo del tonno – spiega ancora Alessandro Giuffrida – e lo tratto con un additivo che di per sé non fa male, non fermo la produzione di istamina, che è tossica per l’uomo. Proprio su questo pesce inoltre, si è rilevato l’utilizzo di monossido di carbonio che lo fa diventare rosso ciliegia». La legge, per completezza di informazione, consente l’utilizzo del Cafodos per i prodotti ittici congelati. «Recentemente, da meno di un anno, Federpesca ha spinto il ministero a utilizzarlo per i cefalopodi congelati (polpi, seppie ndr) – conclude il ricercatore – e il ministero lo ha autorizzato per il trattamento di sbiancamento, che è perfettamente legale». L’illegalità consiste, però, nell’utilizzarlo sui pesci freschi

Ma tra i trattamenti proibiti a quanto pare questo sarebbe il meno grave. Altre sostanze, come i solfiti che – come dimostrano molte operazioni di polizia – vengono usati per la carne vaccina o suina, si usano impropriamente anche nei crostacei, o come sbiancanti del baccalà. «Questi sono tossici – conclude il veterinario –  specie per chi è allergico». La guardia costiera di Catania, a tal proposito, ha affermato di non avere mai sequestrato prodotti ittici trattati in questo modo, né rilevato questo tipo di problematica durante i controlli che, regolarmente, vengono svolti all’interno area etnea. Anche Il comandante del Nas dei carabinieri, contattato dalla nostra redazione, ha affermato di non essere a conoscenza della questione. «Non è mai capitato di avere informazioni di questo tipo di patologie. Non mi sento di escluderlo, però non è mai successo». Chi invece conferma e restituisce un quadro dettagliato della vicenda è Emanuele Farruggia, responsabile dei servizi veterinari per il controllo degli alimenti dell’Asp di Catania: «Ci sono casi di questo tipo a Catania come in tutt’Italia – spiega lo specialista a MeridioNews – Noi, in questi anni, abbiamo dato regolare comunicazione alla procura di reati collegati soprattutto all’aggiunta dei solfiti nei molluschi e nei crostacei, come il calamaro o il gambero». 

Una volta riscontrata la presenza «si procede a denunciare gli operatori del settore», continua il veterinario, che spiega inoltre: «La legge consente l’utilizzo fino a una certa quantità, se superata diventa notizia di reato, come se non regolarmente dichiarata per la tutela dei soggetti allergici». Il medico spiega inoltre che questo tipo di sostanze, vengono aggiunte nelle prime ore della pesca, sulle barche, «quindi il responsabile del reato quasi sempre è il pescatore stesso». «Per esempio vengono messi per non fare annerire il gambero (processo cosiddetto di black spot) – aggiunge – Cosa che avviene normalmente per reazione chimica quando viene portato in superficie, mentre quello additivato rimane chiaro». Nel 2015, su un campione di 35 prodotti ittici controllati sette sono risultati positivi, mentre nel 2016 su 36 in quattro è stata riscontrata la presenza di solfiti.

Sulla possibilità di trattamento con sostanze riconducibili agli acidi organici, il professionista non esclude l’ipotesi anche se ammette l’impossibilità di poterlo dire con certezza. «I nostri laboratori non sono attrezzati per la rilevazione del Cafodos, è difficile rilevarlo senza analisi specifiche». Data la scarsezza di risorse dei mari locali però – ricchi ormai solo di pesce azzurro – molti prodotti vengono importati dal Senegal o dalla Spagna, «dove vengono sicuramente trattati», conferma. «L’istituto superiore di Sanità sta mettendo a punto una metodica accreditata per il riconoscimento, ma parliamo di un ritrovato molto moderno al quale se ne possono sostituire sempre di nuovi». Un altro tipo di frode, infine, è quella cosiddetta per sostituzione. «Vengono venduti totani per calamari o pezzi di squalo al posto del pesce spada – conclude Farruggia – il trancio è indistinguibile per l’occhio del consumatore ma per noi è facile da individuare».

Mattia S. Gangi

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