Una piazza di menti in fermento, lezioni condotte secondo i modi e i mezzi di ciascun professore, giovani universitari che trasmettono il loro sapere ai passanti. Sulla singolare forma di protesta del 29 ottobre scorso, però, non tutti gli studenti sembrano pensarla alla stessa maniera
Pensatori liberi
“Non siamo menti assopite, siamo liberi e pensanti”, afferma una studentessa durante le lezioni in piazza di mercoledì 29 ottobre. Una piazza definita per antonomasia “della conoscenza” come teatro non convenzionale di cultura. Per quale “fine”? “Perché parliamo alla città – ci risponde Stefania Mazzone, docente di storia del pensiero politico – e la informiamo di cosa facciamo noi dentro le università: si fa cultura, sapere e sapere critico, dibattito”.
Da un lato all’altro della piazza si spiegano i cardini della fisica, poesia, politica… ma si parla anche alla cittadinanza coinvolgendola “perché i problemi che ci affliggono riguardano non solo il bene privato di alcuni (studenti e docenti), che si possono permettere l’università, bensì il bene pubblico di tutti”.
Alcuni professori, perlopiù di materie scientifiche, impostano le lezioni a mo’ di ‘intervento politico’ con tanto di microfono e meno dibattito, altri docenti, concentrando l’attenzione sul pensiero degli studenti, hanno permesso loro di esprimere un parere su questioni importanti: il passato fortemente ideologizzato e il presente, la globalizzazione, il “fine” che contraddistingue ogni uomo, la povertà.
I gruppi insieme hanno permesso che si raggiungesse il “fine”, per l’appunto, di difendere simbolicamente la libertà di insegnamento, di ricerca e di sviluppo.
Non c’è una “linea” sostengono alcuni, e soprattutto non ci sono rappresentanti di categorie, perché ognuno entra nel movimento come se stesso e basta. C’è fermento, c’é partecipazione attiva, c’è un onda, ma non anomala nel senso che gli danno i governanti. Come dice Barbara – ora studentessa – c’è determinazione nel voler creare una società nuova.