Giuseppe Guglielmino (classe 1974) è accusato di far parte del clan Cappello. A lui sarebbero riconducibili tre aziende che si sono occupate di spazzatura nei Comuni della provincia. Come ad Adrano, dove la pulizia in città è passata anche attraverso l'incendio dei compattatori e le minacce a mano armata ai netturbini
Penelope, l’impero dei rifiuti nel segno della mafia Gli appalti milionari dal Catanese fino alla Calabria
Da un lato Giuseppe Guglielmino, il «sorvegliante di cantiere» ritenuto organico alla mafia che accumulava consulenze da 200mila euro e girava con una Porsche. Dall’altro tre società attive nel settore della raccolta dei rifiuti e aggiudicatarie di appalti milionari dalla provincia di Catania e fino in Calabria. In mezzo il clan Cappello e l’inchiesta Penelope della procura catanese, che ha fatto scattare le manette attorno ai polsi di 30 persone (una 31esima è attualmente latitante), accusate a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico di droga, estorsione, intestazione fittizia di beni. Per la prima volta nella sua storia, secondo gli investigatori, la cosca mafiosa etnea avrebbe investito nella spazzatura. E lo avrebbe fatto attraverso le società Geo ambiente, Clean up ed Eco logistica. Tutte ritenute riconducibili a Guglielmino (classe 1974), accusato di appartenere al gruppo che, all’ombra dell’Etna, avrebbe avuto come «stratega» e punto di riferimento il presunto boss Massimiliano Salvo.
È luglio 2015 quando un esposto anonimo arriva negli uffici di piazza Verga e spinge gli investigatori a indagare sulla Geo ambiente, una società con sede principale a Belpasso e due distaccate in provincia di Cosenza. Un anno dopo, a luglio 2016, Giuseppe Guglielmino finisce in manette assieme alla moglie e al nipote. Sono accusati di avere distratto i fondi della società e di averne nascosti i debiti milionari. Di lui, del resto, si era già occupata la procura di Modica (poi accorpata a quella di Ragusa), quando era stato sottoposto alla sorveglianza speciale per una presunta maxi truffa da cinque milioni di euro per l’appalto nel Comune di Pozzallo. Una vicenda in cui erano coinvolti anche alcuni dipendenti dello Stato. Ma quello con l’amministrazione ragusana non è l’unico appalto pubblico in cui le società adesso sequestrate sono coinvolte.
La più grossa delle aziende, la Geo ambiente – che dal luglio 2014 è in amministrazione straordinaria su disposizione del tribunale fallimentare – è nota soprattutto nella fascia ionica. È nel Comune di Giarre che l’impresa, in associazione con la Tech servizi (non sequestrata e non coinvolta nell’inchiesta), dal 2013 ad agosto 2016 ha eseguito il servizio di raccolta dei rifiuti. Il più delle volte in regime di proroga straordinaria, nell’attesa che l’amministrazione riuscisse a realizzare la gara d’appalto per la gestione settennale del servizio. Discorso simile nel Comune di Riposto, dove la configurazione si ripeteva: un raggruppamento temporaneo tra Geo ambiente e Tech servizi al quale, «per evitare criticità sanitarie», vengono assegnati i lavori di pulizia in città. Per un valore complessivo di 144mila euro al mese dal 2013 e fino al 2016.
È ad agosto dell’anno appena trascorso che a Riposto si cambia marcia, arrivando alla definizione della gara d’appalto per sette anni. Un lavoro enorme, del valore di undici milioni di euro: ad aggiudicarselo c’è ancora un’associazione temporanea di imprese che include la Tech servizi. Stavolta, però, insieme alla Clean up di Motta Sant’Anastasia. Anche quest’ultima, secondo gli inquirenti che ne hanno sequestrato le quote e il patrimonio aziendale, sarebbe riconducile a Guglielmino. L’alternanza Geo ambiente-Clean up si verifica anche altrove: nel 2008 la prima si aggiudica «a seguito di gara e con procedura negoziata e senza bando» il servizio di igiene urbana nei Comuni di Viagrande, Aci Catena e Aci Sant’Antonio. In quest’ultimo Comune, Geo ambiente continua a occuparsi dei rifiuti – a fasi alterne – fino al 2014, per un importo mensile che supera i 91mila euro. A giugno 2015, però, a ottenere l’incarico acisantantonese è la Clean up che agisce «in regime di proroga tecnica», sempre in attesa di una gara d’appalto pluriennale, da giugno 2015 a gennaio 2016. Per oltre 181mila euro al mese.
L’impero di Geo ambiente e Clean up nel Catanese però si sposta anche altrove: la seconda arriva a Fiumefreddo di Sicilia (con la Tech servizi, dall’1 gennaio 2015 al 31 dicembre 2015, per 80mila euro al mese) e a Santa Venerina (dove a luglio 2014 vince un bando trimestrale da 183mila euro complessivi). Geo ambiente, invece, passa da Palagonia nel 2014, dove le difficoltà nel pagare i dipendenti costringono la giunta comunale a intervenire e a sobbarcarsi gli stipendi. Ma è ad Adrano che avviene un fatto inquietante: l’azienda, grazie all’urgenza di evitare emergenze sanitarie, si aggiudica la raccolta dei rifiuti a dicembre 2013 per 45 giorni. Poi però ottiene proroghe fino alla fine del 2014. A novembre di quell’anno – pochi mesi dopo il commissariamento da parte del tribunale fallimentare e l’inizio del nuovo corso da parte dell’amministratore giudiziario – cinque autocompattatori vengono dati alle fiamme da due persone che, dopo avere minacciato i netturbini con le armi, scappano sparando in aria almeno sette colpi di pistola calibro 7,65.
Le trame intessute da Giuseppe Guglielmino nel segno della spazzatura, secondo la magistratura di Catania, arrivano fino in Calabria e in Campania. Secondo l’autorità giudiziaria gli interessi dell’uomo si sarebbero spinti a Casal di Principe, dove la presunta vicinanza con un gruppo camorristico legato ai casalesi lo avrebbe fatto avvicinare alla possibilità di occuparsi di munnizza pure nel Casertano. In Calabria, invece, la Geo ambiente, tra il 2010 e il 2013, ha ottenuto appalti a Locri e Siderno (provincia di Reggio Calabria), Belvedere Marittimo e San Nicola Arcella (provincia di Cosenza). Nella Regione al di là dello Stretto, il 28 ottobre 2012 vengono dati alle fiamme due camion della ditta. Per la procura di Catania c’è voluto poco affinché intervenisse il clan Cappello a pacificare i rapporti con le ‘ndrine locali: l’accordo avrebbe previsto di non pagare la «messa a posto» (cioè il pizzo) alla ‘ndrangheta in cambio di assunzioni pilotate e dell’impegno ad accogliere i suggerimenti delle cosche calabresi nella scelta dei luoghi dove acquistare il carburante.