Pd nel caos, frattura all’interno dell’area renziana Ballottaggio Sammartino-Anselmo per capogruppo 

Un puzzle dove non si trova il pezzo mancante e dove forse qualcosa comincia a rompersi in maniera pesante. Giornata di riunioni ieri e di esiti mancanti, ancora una volta, ancora sul capogruppo. Il Pd non riesce a trovare l’accordo e si perde tra i rivoli ormai scomposti di una contrapposizione costante. Al presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone non è rimasto che comunicare l’esito della conferenza dei capogruppo con il relativo rinvio della seduta a giovedì. In più di un momento ieri nel Pd si è arrivati ad un passo dalla rottura, e secondo alcuni, il rischio di scissione è stato potenzialmente rilevante. Poi, si è passati al voto, senza un accordo. 

La riunione si è conclusa alle due di notte. Nella prima votazione all’una di notte ci sono state 13 schede bianche e otto per Luca Sammartino. Nella seconda votazione: cinque bianche, sette voti Sammartino e nove per Alice Anselmo. Si dovrebbe a questo punto andare al ballottaggio fra i due esponenti con la prossima riunione che rimane da convocare. Il valore delle schede bianche in parte confluite nella seconda votazione sulla deputata Anselmo, eletta nel listino del presidente Crocetta e poi passata con Nello Dipasquale nella breve esperienza di Territorio, prima di approdare al Pd, è anche un modo per indicare come l’ipotesi di Sammartino nasca minoritaria e come il gruppo Lupo (renziano) possa fare la differenza anche in chiave diversa rispetto a Sammartino. 

Lo scontro frontale, che escluderebbe i volti tradizionali, a partire dai cuperliani, Panarello e Panepinto, oltre che Di Giacomo, non rimarrebbe privo di conseguenze, anche clamorose. Non sarebbe a quel punto solo il problema di penalizzare l’area cuperliana, ma di dare un’immagine radicalmente diversa della fisionomia del gruppo parlamentare all’esterno. Fino alle quattro del mattino i discorsi si sono rincorsi tra loro, poi la tregua. Adesso si potrebbe arrivare o a un ritiro di Sammartino, con Anselmo capogruppo, o a una designazione all’unanimità, ipotesi oggi tutta da costruire sui nomi di Giuseppe Laccoto e Marica Cirone. Niente cuperliani, dunque, ma neanche spazio a quel punto alla soluzione caldeggiata da Faraone. 

Un quadro assolutamente frammentato che rende visibile la scomposizione tra anime contrapposte, principalmente renziani e cuperliani, ma anche la difficile convivenza tra vecchia sinistra e nuova proposta integrata nei Dem. Guerra di trincea e non più di posizioni tra Faraone e Cracolici, lontanissimi dalla desistenza con la mancanza d’intesa dentro il Partito democratico che costringe il parlamento siciliano a sospendere i lavori e rinviare l’elezione dei membri delle commissioni. 

Perché Cracolici e Faraone non riescono a trovare un accordo con una contrapposizione che rischia di compromettere tutto? Su cosa fa leva l’ex capogruppo e attuale assessore all’Agricoltura Cracolici che blocchi la voglia irrefrenabile di andare al voto del sottosegretario renziano? Perché non si trova l’uomo della mediazione? Fino a che punto il problema sulla designazione di Sammartino è il metodo e quanto incide il personaggio sul territorio catanese? Queste solo alcune delle domande che nascono dall’analisi (complessa) della vicenda, rispetto alla quale Fausto Raciti, segretario regionale del partito si trova a dovere andare avanti. Dal giorno della sue elezione, il parlamentare catanese ha dovuto fronteggiare un conflitto crescente sempre più grande tra le componenti, ma oggi il livello di scontro preoccupa sempre di più. Adesso con una radicalizzazione dalle forme così vistosamente riconoscibili il compito diventa proibitivo. 

Il passo indietro di Sammartino non è arrivato e anzi Faraone ha accelerato senza esitazioni, conferendo a questa designazione una valenza profonda di cambiamento nel panorama tradizionale del resto del gruppo del Pd all’Ars. Si attendono le prossime evoluzioni, riunione romana compresa, con un crescente atteggiamento al limite della sopportazione in alcuni casi che da Roma da parte di dirigenti Dem, rischia di arrivare sino a Palermo. Il margine per una soluzione diversa, anche se minimo, ancora permane.


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