I giudici della Corte dei conti della Sicilia, presieduti da Anna Luisa Carra hanno condannato il vicebrigadiere Mauro Massari a risarcire la guardia di finanza per 35mila euro quale danno di immagine. Il militare dei baschi verdi, ex vice presidente della sesta circoscrizione di Catania, finito in un’inchiesta su mafia e voti di scambio ha […]
Patteggia pena per corruzione, corte conti condanna finanziere. Presunto patto elettorale con il boss Buda
I giudici della Corte dei conti della Sicilia, presieduti da Anna Luisa Carra hanno condannato il vicebrigadiere Mauro Massari a risarcire la guardia di finanza per 35mila euro quale danno di immagine. Il militare dei baschi verdi, ex vice presidente della sesta circoscrizione di Catania, finito in un’inchiesta su mafia e voti di scambio ha patteggiato una pena a 2 anni e 10 mesi per l’accusa di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio. A gennaio del 2023 Massari ha presentato alla corte d’appello di Messina istanza di revisione della sentenza penale. La causa è ancora pendente. Secondo le indagini degli agenti del nucleo di polizia e economico finanziaria di Catania, il brigadiere in servizio ad Augusta avrebbe stretto «un patto elettorale» con Orazio Buda, ritenuto esponente di spicco del clan Cappello Bonaccorsi, e nel 2018 è stato eletto nelle liste di Forza Italia con 965 preferenze nella circoscrizione dei rioni Librino, San Giorgio, San Giuseppe La Rena, Zia Lisa e Villaggio Sant’Agata.
Per questi motivi il vicebrigadiere è finito ai domiciliari e ha poi patteggiato la pena. Da qui la richiesta della procura contabile diretta da Pino Zingale alla condanna per danno di immagine. Secondo la difesa del militare la sentenza di patteggiamento per reato proprio con la pubblica amministrazione alla luce della riforma Cartabia non sarebbe più equiparabile ad una sentenza penale di condanna ai fini del risarcimento del danno d’immagine. Non per i giudici della corte dei conti secondo cui «la sentenza penale di patteggiamento di cui è causa ha irrogato Mauro Massari anche la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per tutta la durata della pena principale di due anni e 10 mesi di reclusione. Conseguentemente nella fattispecie può ritenersi sussistente la piena equiparabilità della sentenza del tribunale di Catania ad una sentenza penale di condanna. Il collegio ritiene che la procura regionale abbia ben assolto l’onere di allegare e provare i fatti sulla base dei quali il convenuto può ritenersi responsabile della lesione di immagine».