Restano in carcere gli altri cinque arrestati lo scorso 8 maggio: Antonio Magro, Vincenzo Patti, Francesco Santino Peci, Alessandro Giuseppe Farina e Sebastiano Scalia. Gli avvocati difensori potrebbero fare ricorso. Intanto, bisogna aspettare 45 giorni per conoscere le motivazioni che saranno depositate dai giudici
Paternò, scarcerato dopo arresti omicidio Leanza Barbagallo avrebbe preso parte a fasi preliminari
Nuova svolta nel caso dell’omicidio di Salvatore Leanza, detto Turi Paredda. Il tribunale del Riesame di Catania, presieduto da Dorotea Catena, ha deciso di rimettere in libertà Antonino Barbagallo (adesso indagato a piede libero) una delle sei persone arrestate lo scorso 8 maggio con l’accusa di aver ucciso Leanza il 27 giugno del 2014 mentre usciva di casa a bordo di un’Alfa Romeo 156 guidata dalla moglie. Confermata, invece, la carcerazione per gli altri cinque arrestati: Antonio Magro, Vincenzo Patti, Francesco Santino Peci, Alessandro Giuseppe Farina e Sebastiano Scalia. A questi ultimi due è stato contestato anche il tentato omicidio di Antonino Giamblanco, braccio destro di Leanza.
I giudici si sono riservati 45 giorni per depositare le motivazioni. Intanto, gli avvocati degli altri arrestati potrebbero decidere di fare ricorso. Secondo l’accusa, Antonino Barbagallo avrebbe partecipato alle fasi preliminari dell’omicidio Leanza, fornendo assistenza logistica al commando. Le indagini condotte dalla Dda di Catania avrebbero permesso di individuare in Salvatore Rapisarda, capo del clan Morabito-Rapisarda, il presunto mandante dell’omicidio. Dietro ci sarebbe il fatto che il boss avrebbe ritenuto Leanza responsabile della morte del fratello Alfio Rapisarda, ucciso nel 1982. Secondo gli inquirenti Leanza, dal momento della sua scarcerazione, avrebbe ripreso le fila della famiglia e si sarebbe circondato di un gruppo di fedelissimi con l’obiettivo di prendere nuovamente potere a Paternò.
Un ritorno quello del boss che avrebbe rotto gli equilibri criminali in città e portato a una breve guerra di mafia. Dalle indagini condotte dai carabinieri, corroborate dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Musumarra – alle quali si sono aggiunte, di recente, quelle di Orazio Farina – sarebbe stato possibile indicare il gruppo di fuoco che ammazzò Leanza. A sparare con tre pistole (una calibro 38, una calibro 9 e una calibro 7,65) sarebbero stati Musumarra, Farina e Scalia. Alla guida dell’auto, invece, Peci. Presenti sul luogo dell’agguato anche Patti e Magro che, a bordo di un altro mezzo, avrebbero fatto da vedette.