Il tribunale del Riesame ha ribadito la necessità della detenzione per le dieci persone ritenute legate al clan paternese. L'inchiesta è scattata alla fine di agosto e copre un arco temporale di due anni di indagini: da maggio 2015 a luglio 2017
Paternò, confermati gli arresti dopo il blitz Assalto Restano in carcere i presunti affiliati agli Assinnata
Il tribunale del Riesame di Catania ha confermato l’arresto e la detenzione in carcere per le dieci persone ritenute legate al clan Assinnata di Paternò e arrestate nel corso dell’operazione Assalto di qualche settimana addietro. Carcere per Erminio Laudani, il figlio Gaetano, Marco Impellizzeri, Marco Giuseppe Sciacca, Cristian Terranova, Ivan Gianfranco Scuderi, Salvatore Alex Atanasio, Samuele Cannavò e Domenico Assinnata junior. Per Rosario Sammartino i giudici del Riesame hanno deciso la detenzione ai domiciliari.
L’inchiesta è stato coordinata dai pubblici ministeri Valentina Sincero e Andrea Bonomo. Con l’operazione Assalto la Direzione distrettuale antimafia di Catania ha definito la posizione di predominio del clan nell’ambito della criminalità organizzata di Paternò. Una inchiesta che ha consentito di stabilire il potere della cosca di Turi Assinnata, padre di Domenico, attualmente detenuto nel carcere di Asti. Due anni di indagini, partite a maggio 2015 e finite a luglio 2017, che includono anche quanto accaduto il 2 dicembre 2015: ossia l’inchino dei cerei, le cosiddette varette, sotto casa di Domenico Assinnata durante le celebrazioni in onore di Santa Barbara, patrona della cittadina paternese.
Per gli inquirenti quell’inchino con relativo bacio del capovaretta a Domenico Assinnata, e la successiva annacata, stava a testimoniare il riconoscimento del figlio del boss, quale reggente del clan, nonostante la giovane età. A tenere le redini del clan sarebbero stati Gaetano Laudani, cognato di Domenico Assinnata, e suo padre Erminio, suocero del rampollo. Fondamentali per lo svolgimento delle indagini sono state le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Orazio Farina e Antonino Caliò, nonché Mirko Presti, Sebastiano Sardo e Francesco Musumarra. Per gli inquirenti, sono gli Assinnata a gestire le piazze di spaccio cittadine: hashish, marijuana e cocaina sarebbero un business di famiglia. Nell’inchiesta si parla anche delle estorsioni. In particolare, di quella a una ditta di autonoleggi che, per ben due volte, ha subito atti intimidatori: prima l’incendio dell’auto del titolare, poi lo sfondamento di vetrina e porta d’ingresso della ditta.