Botta e risposta tra l'associazione ambientalista e il Consorzio di bonifica 10 sullo stato di una delle rare zone umide di acqua dolce della Sicilia. Al centro della battaglia gli impianti idrovori che mantengono basso il livello della falda acquifera per evitare gli allagamenti
Pantani Gelsari e Lentini, esposto Legambiente La replica: «Dobbiamo tutelare case e persone»
Sequestrare gli impianti idrovori che causano il deturpamento dei pantani di Gelsari e di Lentini. A chiederlo, con un esposto presentato ieri alle procure di Siracusa e Catania, è Legambiente, che accusa il Consorzio di Bonifica 10 di Siracusa, di aver distrutto i vecchi pantani, prosciugandoli e attivando due impianti che sollevano e raccolgono l’acqua in alcune vasche per scaricarla a mare.
Il Consorzio difende il suo operato. «Prima della bonifica – spiega l’ingegnere Mario Gaetano Cancaro, dirigente dell’area tecnica dell’ente – effettuata a cavallo tra la fine degli anni quaranta e l’inizio degli anni cinquanta, i terreni erano incolti e completamente allagati. Dopo, una parte è stata stata destinata all’agricoltura e sono stati realizzati gli impianti per evitare che si allagassero nuovamente».
Si parla di pantani che si trovano ai margini sud orientali della Piana di Catania – nei territori di Carlentini, Augusta e Catania – e che, sottolinea Legambiente «costituiscono quanto di più importante e vasto è sopravvissuto sino ai nostri giorni del sistema di zone umide di acqua dolce e salmastra che, fino allo scorso secolo, si estendeva in questa pianura». Nel 2012 hanno ottenuto misure di protezione ambientale, con l’istituzione di una Zona di protezione speciale, con i vincoli imposti dall’assessorato Territorio e Ambiente della Regione, rinnovati fino a ottobre 2016.
«I proprietari dei terreni e quelli delle abitazioni vicine – ricostruisce l’ingegnere del Consorzio di bonifica – fecero ricorso al Tar per chiedere la rimozione dei vincoli, in quanto bloccavano l’attività di sollevamento delle acque da parte nostra, causando quindi gli allagamenti. Nel 2014 il tribunale ha stabilito che potevamo riattivare gli impianti, in modo da evitare rischi per persone e cose, quindi abbiamo ripreso ad operare, nonostante i furti e gli atti vandalici subiti che per un po’ di tempo ci hanno costretti a sospendere i lavori».
L’ambientalista Roberto De Pietro, tra i firmatari dell’esposto, denuncia però che da quando il consorzio ha ripristinato gli impianti, «effettua i prelievi in modo da contrastare la naturale risalita della falda, per mantenerne il livello al di sotto del fondo dei pantani. Mentre – sottolinea – per le finalità della Zona di protezione speciale, gli impianti idrovori si sarebbero dovuti attivare solo al superamento di determinati livelli idrici che sia il consorzio che la Regione avrebbero dovuto individuare».
L’intervento, ribatte il consorzio, è necessario per impedire l’allagamento dei terreni vicini e delle residenze estive confinanti, «costruite molti anni dopo l’installazione delle pompe idrovore e che oggi godono delle loro attività. Il Tar – specifica l’ingegnere Cancaro – dice di intervenire sollevando e raccogliendo le acque per scaricarle a mare, in modo da evitare rischi per le persone. Tuttavia manteniamo un livello minimo di acqua dolce nei canali, per evitare la risalita dell’acqua salmastra che creerebbe danni alle coltivazioni. D’altronde nasciamo per salvaguardare gli interessi degli agricoltori, nel rispetto delle leggi». Secondo l’ingegnere sarebbe quindi impossibile ripristinare i vecchi pantani, in quanto a differenza di allora, oggi attorno ai due ambienti sono presenti piantagioni e strutture varie.