Queste riflessioni, buttate giù all’impronta, mi sono state sollecitate come risposta al dibattito veramente modesto che riguarda l’attuale competizione amministrativa palermitana. La povertà degli argomenti e la scarsa qualità dei competitori, naturalmente alla sedia di sindaco della città, non avendo altro su cui dibattere, ha trovato nella ridicola rivendicazione di una presunta superiorità qualitativa su base anagrafica un flebile tema su cui ci si dovrebbe confrontare.
Fra i tanti, “demenziali”, luoghi comuni che, infatti, animano il dibattito politico, si fa per dire, d’oggi, uno dei più accreditati é sicuramente quello che contrappone giovani e vecchi. Da parte di alcuni dei candidati sembra infatti che non si possa prescindere dall’indagine sull’età anagrafica per potere dare un giudizio, positivo o meno, su chi si impegna in politica. In poche parole e banalizzando, si dice che sopra i quarant’anni, qualcuno benevolmente magari arriva ai cinquanta, si debba essere essere esclusi dall’attività politica. Una tesi veramente assurda che appare speculare a quella prevalente fino a qualche anno fa che, come tutti possono ricordare, affermava che solo da una certa età si potevano occupare posti di responsabilità perché i giovani non possedevano la maturità e l’esperienza degli anziani.
Così, nel passato con la sottolineatura esagerata della maturità, nel presente con il riferimento al vigore e alla creatività, tutte cose da dimostrare, si viene a trascurare quanto dovrebbe essere il serio distinguo fra chi si dovrebbe occupare di politica e chi invece farebbe bene a non occuparsene. Quel distinguo ha due specifici vertici, il primo dei quali si chiama disponibilità a lavorare per il bene comune, il secondo si chiama competenza.
La storia, più banalmente la cronaca ci insegna che, purtroppo molti, forse troppi, protagonisti della politica hanno dimenticato che l’impegno pubblico è un munus non solo per realizzare le proprie vocazioni o per gratificare le proprie ambizioni, a mio modo di vedere anche queste legittime, ma è soprattutto un’obbligazione che si contrae per, un tempo si diceva proprio così, “servire il popolo”.
Ancora la storia, o la cronaca, ci hanno offerto e continuano ad offrirci, purtroppo, immagini di superficialità o di poca competenza da parte di coloro che hanno ricevuto un mandato a provvedere agli interessi generali. Osservando, dunque, quanto avviene ci si accorge che il discrimine artificiale, vecchi-giovani, è quanto di meno idoneo ad essere richiamato in quella nobile ma, purtroppo, dissacrata arte che si chiama fare “politica”.
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