L’Accademia della Crusca, sempre attenta ai nuovi fenomeni linguistici che si affacciano nel lessico giovanile, ha dato per il termine cringe la seguente definizione: «Detto di scene e comportamenti altrui che suscitano imbarazzo e disagio in chi le osserva». Una descrizione che potrebbe anche calzare a pennello per diverse fasi del primo atto del nuovo consiglio comunale di Palermo, quello della prima seduta, con giuramento, insediamento ed elezione di presidente e vicepresidenti del Consiglio. Una giornata calda, non solo tra i banchi, ma anche per via della temperatura, altissima in una sala delle Lapidi gremita che faceva vano affidamento alla pur buona volontà di un condizionatore portatile. Sala gremita perché oltre ai quaranta consiglieri, ai commessi, ai giornalisti, al personale degli uffici e a diversi assessori, c’era anche un pubblico numeroso, tra parenti, familiari e semplici tifosi dell’uno o dell’altro personaggio eletto, anche se in pochi hanno resistito per tutte le quattro ore della seduta. Una folla in cui però pesavano le assenze della vicesindaca Carolina Varchi, impegnata a Roma come deputata nazionale, e del sindaco Roberto Lagalla, arrivato per pochi minuti prima dell’inizio dei lavori per scambiare sorrisi e strette di mano con i consiglieri, rientrato al momento del suo giuramento e poi andato via. Una manciata di minuti in totale la durata della sua presenza in aula. «È prassi e buona educazione non solo enunciare i propri buoni propositi, ma restare per ascoltare quelli degli altri», dirà poi in un intervento Fabrizio Ferrandelli, riferendosi alle parole concilianti spese dal sindaco nel suo breve discorso al Consiglio, prima di andare via.
Una seduta che ha raccontato tante storie diverse. C’è quella di Giuseppe Milazzo, per esempio. Anzi, del consigliere onorevole Giuseppe Milazzo, doppio appellativo con il quale sono stati chiamati a giurare quei consiglieri che ricoprono anche altre cariche governative a ogni livello – Milazzo è eurodeputato -, purché di sesso maschile. Niente “onorevole”, infatti, per Marianna Caronia. Milazzo è mattatore fin dall’inizio, osannato dai suoi, che prospettano per lui e per i colleghi di partito Ferrara e Scarpinato una vita breve in sala delle Lapidi in vista delle prossime elezioni regionali e nazionali. Ogni mossa dell’ex forzista è sottolineata dal plauso o dalla battuta di qualche collega, persino quando gli tocca l’oneroso compito di scrutatore nell’elezione di presidente e vicepresidenti. La sua camminata verso lo scranno al momento del giuramento è sottolineata da urla di incitazione. E lui non delude: unico consigliere sui 40 presenti a pronunciare la formula di rito a memoria, senza leggere, con sguardo rivolto verso la platea.
Sul fronte opposto, invece, spicca l’apparente insofferenza di Franco Miceli, candidato sindaco sconfitto del fronte progressista. L’architetto sembra quasi fuori posto, talvolta annoiato, le sue espressioni sono sempre molto eloquenti. E finisce persino col perdere la poltrona di vicepresidente a causa dei malumori che in questi giorni minano la coalizione: «Abbiamo fatto una riunione tutti insieme – commenterà dopo la seduta – e abbiamo deciso di proporre il nome di Teresa Piccione». Nome, quello dell’ex deputata nazionale, arrivato anche per accontentare il Movimento 5 Stelle, che per dare un segno di distacco dai quasi ex alleati dichiarano, per bocca di Antonino Randazzo: «Consideriamo l’esperienza con Franco Miceli chiusa». E a proposito di Miceli, chissà cosa avrà pensato Filippo Miceli, candidato di Sinistra Civica Ecologista e unico Miceli non eletto sui quattro presenti in coalizione, nel vedere le immagini del giuramento degli omonimi Carmelo, Franco e Giuseppe, rispettivamente per Pd, Progetto Palermo e Movimento 5 Stelle.
La seduta di oggi ha raccontato la storia di Giulio Tantillo, arrivato dopo 20 anni di consiliatura a ricevere l’investitura di presidente del consiglio comunale. «L’emozione non ha età – dice – Ringrazio tutti, anche chi non mi ha votato. Bisogna sempre essere presidenti super partes, altrimenti l’aula non va avanti». Per lui 32 voti a favore, sette schede bianche e un voto al consigliere Ottavio Zacco, con tutta probabilità espresso dall’avversario Ugo Forello. Un voto arrivato dopo una serie di scontri pesantissimi tra Zacco, renziano e presidente del consiglio provvisorio in attesa della votazione, e l’ex grillino, ora braccio destro di Fabrizio Ferrandelli, nato dopo un intervento in cui l’avvocato chiedeva al segretario generale lumi sulla necessità di nominare due vicepresidenti (nella scorsa legislatura ne era stato nominato soltanto uno) e se questo avesse potuto gravare sul bilancio di un Comune in odore di dissesto. Da qui l’inizio delle ostilità con Zacco, che prima tenta invano di interrompere il consigliere, poi, accordando al segretario generale Antonio Le Donne la facoltà di rispondere, dopo le prime quattro parole – «la votazione è legittima» – con una mossa a metà tra il teatrale ferma con una mano il microfono del suo vicino di scranno dicendo: «Basta così, ha già risposto».
Forello avrà la sua rivincita poco più tardi, quando farà notare che le schede per la votazione del presidente del consiglio non sono vidimate dagli scrutatori. Una considerazione prima ignorata e poi giustificata – «la collega Chinnici ha contato tutte le schede», ma che alla fine ha portato all’annullamento della prima votazione quando ancora Forello, regolamento alla mano, ha fatto notare che la procedura in corso non era legittima. Tutto da rifare, dunque, ma prima non poteva mancare un attimo di tensione al momento della distruzione delle schede inutilmente inserite nell’urna al primo tentativo, tra chi urlava «Per favore, non toccate niente» e chi proponeva: «Devono essere eliminate davanti a tutti!». Alla fine si riprende con il voto, che si interromperà poco dopo: l’unica penna a disposizione per votare è caduta, andandosi a infilare in una fessura nel legno dello scranno. Scranno che è stato quasi smontato da una piccola squadra di commessi per consentire le operazioni di salvataggio della penna e in seguito quelle di voto. Voto che, oltre alla nomina di Tantillo, consegnerà alla storia quelle di Giuseppe Mancuso (lista Lagalla) come vicepresidente vicario e di Teresa Piccione (Pd) come vicepresidente.
Il tutto nel solito proliferare di battutine tra consiglieri e risate conviviali. Tra chi ammoniva il renziano di ferro Dario Chinnici (lista Lagalla) con sonori: «Chi l’avrebbe detto qualche mese fa che saresti stato lì a votare Tantillo», e le telefonate in corso d’opera della consigliera-assessora Sabrina Figuccia, rimproverata anche da Ferrandelli: «Se disturbo, collega Figuccia, esco, poi quando ha finito la chiamata rientro». A spiccare tra la folla di spettatori, infine, c’era la figura di Edy Tamajo, il vero vincitore delle elezioni, che ha portato a Forza Italia i tre candidati più votati, all’interno del partito più votato, tanto da guadagnarsi la nomina ad assessore del fratello Aristide. Tamajo è seduto a ridosso delle sedute dei consiglieri, vicino alle scale. Lì dove si registra un via vai di eletti, in una sorta di pellegrinaggio. Sorride, saluta, chiacchiera, per poco non benedice i bambini, che sono presenti in buon numero. Non lo fa perché probabilmente i più vicini a lui sono i figli di Ferrandelli, e non sarebbe il caso. La seduta si conclude con il presidente Giulio Tantillo che snocciola gli appuntamenti e le scadenze per le nomine dei capigruppo e dei componenti delle commissioni a un Consiglio che già ha deciso di rompere le righe, col presidente che parla mentre di fatto nessuno ascolta.
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