Palazzo Hernandez, 60 anni di abbandono Tra nobili spiriti, dicerie e false attribuzioni

«Ah, questo palazzo ha una storia incredibile: era bellissimo, doveva essere bellissimo». Gianfranco Costanzo guarda la facciata di Palazzo Hernandez che dà su via San Tommaso e fa una smorfia. Lui, avvocato, vive nella palazzina di fronte, di proprietà della sua famiglia da generazioni: «La vede l’incisione nel muro? 1746, noi siamo qui dal 1746 e qui, dove adesso c’è il cortiletto, c’era la cappella dedicata a Santo Masi al Porto… La gente marinara l’aveva chiamato così». E mentre la famiglia Costanzo costruiva casa sua, i più celebri dirimpettai mettevano in piedi un nobile palazzotto.

La targa marrone delle indicazioni turistiche – che si trova di fronte all’ingresso di via San Lorenzo – fa risalire Palazzo Hernandez all’inizio del XVIII secolo e attribuisce la paternità architettonica al più illustre dei progettisti a cui Catania abbia dato ospitalità: Giovanni Battista Vaccarini. «Fu fatto costruire per la famiglia Hernandez (spagnoli trasferitisi in Sicilia nel XVI secolo, ndr) – ricostruisce Costanzo – poi passò alla famiglia Francica-Nava (stirpe siracusana che inizia nel XVII secolo, ndr) e infine all’avvocato Torrisi, che sposò una nobildonna e se ne appropriò. Ma si racconta che lui dilapidò il patrimonio, la famiglia e il palazzo caddero in rovina». Di fantasie e leggende su Palazzo Hernandez se ne sono raccontate tante: «Quando ero bambino si diceva che c’erano i fantasmi, che la buonanima dell’avvocato Torrisi in disgrazia vagasse per le stanze del complesso». «Si sa – conclude l’uomo, ridendo – sono tutte dicerie: del resto, la Civita era un quartiere sia di grandi famiglie istruite, sia di poveri cittadini senza scuola».

La vera storia, però, è un’altra: «La parte in oggetto, quella che si affaccia sulla piazza Duca di Genova venne acquistata dalla mia bisnonna e lasciata in eredità, indivisa, alle sue tre figlie, e successivamente, sempre indivisa, ai nipoti», replica Orazio Torrisi, uno degli eredi dell’avvocato. «Mio nonno non sposò alcuna nobildonna, non se ne appropriò, non cadde in disgrazia e, soprattutto, non dilapidò alcun patrimonio – precisa il nipote – L’immobile pervenne, senza passare per le mani del nonno, direttamente a mio padre, avvocato anch’esso, e ai suoi numerosi cugini».

Con Palazzo Biscari alle spalle e Palazzo Platamone alla sua sinistra, il Palazzo Hernandez rientra nel novero degli edifici storici catanesi di grande valore. Eppure, a differenza dei due noti vicini, non può dirsi altrettanto fortunato. In parte abitato e in parte adibito a uffici per l’università degli studi etnea, «l’abbandono risale al minimo agli anni ’50». In realtà, oltre alle fantasiose storie sui fantasmi, altrettanto fasulla è l’attribuzione dell’intero stabile a Vaccarini: «La famiglia Hernandez acquisì, verosimilmente nei primi anni dal terremoto del 1693, alcuni casolari del quartiere Civita e a partire dagli anni ’40 del Settecento affidò a Gian Battista Vaccarini la realizzazione di un sontuoso palazzo, di cui la coorte poligonale (condizionata forse dalle strutture pre-sismiche) avrebbe costituito l’attrattiva maggiore», spiega Iorga Prato, tecnico archeologo. Nei fatti, però, l’unico elemento di paternità vaccariniana è il «portico rampante del cortile», un doppio scalone «oggi vergognosamente coperto da un garage e da una alta parete che lo taglia in due».

Palazzo Hernandez doveva essere probabilmente «una casa di comodo, con uso residenziale relativo al periodo di permanenza nella città etnea per affari», e già nei primi dell’Ottocento è stato diviso in vari ambienti «assai diversificati per stile e gusto». L’ultimo tentativo – rimasto incompiuto – di dare uniformità a ciò che non l’aveva risale al Novecento. Però, spiega Prato, l’edificio era passato in mano a ricchi borghesi «disinteressati all’architettura nobiliare». Tra questi, anche i signori Patti, genitori dello scrittore Ercole, proprietari di una parte dello stabile che si affaccia su via Landolina. Lo spezzettamento ha fatto sì che alcuni vani venissero «affittati, venduti o lasciati all’abbandono». Il risultato, secondo il tecnico archeologo, è devastante: «Le architetture si sovrappongono senza armonia e il cortile originario è spaventosamente modificato, al punto da non essere più leggibile il progetto di Vaccarini».

Le guerre hanno fatto il resto. «Nell’immediato dopoguerra, l’intero quartiere Civita venne spopolato e affittato a nuclei di famiglie povere – prosegue Iorga Prato – Alcuni occuparono abusivamente parti dell’edificio abbandonato e negli anni ’60 e ’70 vi si nascondevano droga e armi». Archiviata la fase deposito illecito, rimangono le botteghe fatiscenti e le stanze inaccessibili e devastate. A denunciare lo stato di Palazzo Hernandez ci pensa l’opera di uno street artist: accanto a un balcone del primo piano con vista su piazza Duca di Genova un anonimo creativo ha attaccato un grosso adesivo: ritrae un ratto.


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